Little Annie Fanny è un personaggio dei fumetti creato da Harvey Kurtzman e Will Elder nel 1962 per le pagine di Playboy. Considerata una delle serie più sofisticate e satiriche mai pubblicate su una rivista per adulti, Little Annie Fanny rappresenta un punto di incontro tra la tradizione della parodia americana e la sperimentazione grafica, anticipando molte delle estetiche che avrebbero caratterizzato la controcultura visiva degli anni ’60 e ’70. Il personaggio si ispira chiaramente a Little Orphan Annie, stravolgendo però il tono moralistico dell’originale per immergerlo in un universo di irriverenza e critica sociale tipicamente sixties. Annie è una bionda ingenua e voluttuosa che si trova coinvolta in situazioni assurde e grottesche, una sorta di Candide della cultura pop, la cui ingenuità diventa il pretesto per smascherare le ipocrisie del mondo che la circonda.





Harvey Kurtzman, già fondatore della rivista MAD, e Will Elder, suo storico collaboratore, portarono in Little Annie Fanny un’innovazione visiva che superava il linguaggio convenzionale del fumetto umoristico. La serie fu una delle prime a impiegare il colore in modo pittorico e iperrealista, con una tecnica che fondeva l’acquerello con la gouache per ottenere un effetto quasi tridimensionale. Elder, noto per il suo stile dettagliato e per l’uso del cosiddetto chicken fat — una sovrabbondanza di dettagli e gag nascoste nello sfondo — costruì tavole che erano veri e propri azzardi visivi, in cui ogni angolo pullulava di riferimenti satirici alla politica, alla pubblicità e alla cultura popolare. L’effetto era quello di una lettura stratificata, in cui la narrazione principale si intersecava con una miriade di sottotesti, un approccio che anticipa il linguaggio postmoderno della graphic novel contemporanea.
Dal punto di vista della critica culturale, Little Annie Fanny può essere interpretata come un esempio di détournement in stile situazionista: il linguaggio visivo della pubblicità e dell’illustrazione commerciale viene sovvertito per rivelarne i meccanismi di seduzione e manipolazione. Jean Baudrillard avrebbe forse letto Little Annie Fanny come una parodia della società dello spettacolo, in cui l’immagine femminile è allo stesso tempo il prodotto e la merce di scambio di un sistema mediatico che la oggettivizza. Allo stesso tempo, la serie riflette l’influenza del fumetto underground, pur mantenendo un legame con la tradizione del gag cartoon americano. Se Robert Crumb e Gilbert Shelton avrebbero poi radicalizzato il linguaggio del fumetto adulto portandolo nelle fanzine e nei circuiti indipendenti, Kurtzman ed Elder dimostrarono che anche all’interno di una pubblicazione mainstream come Playboy era possibile sovvertire i codici del medium.
L’aspetto più originale della serie, oltre alla sua sofisticazione grafica, è la sua capacità di adattarsi ai cambiamenti culturali dell’America degli anni ’60 e ’70. Ogni episodio era un riflesso delle trasformazioni della società: dal movimento per i diritti civili alla rivoluzione sessuale, dall’ascesa della controcultura hippie all’industria dell’intrattenimento. Little Annie Fanny non era solo un fumetto erotico travestito da satira, ma un osservatorio ironico e spietato sulle contraddizioni dell’epoca. L’accoglienza da parte del pubblico fu ambivalente: alcuni lettori di Playboy si aspettavano un fumetto più esplicitamente sexy e non coglievano la sottigliezza satirica della serie, mentre altri lo apprezzavano proprio per il suo approccio intelligente e il suo humor raffinato.
Per chi volesse studiare Little Annie Fanny, consiglio di consultare raccolte come Playboy’s Little Annie Fanny (Kitchen Sink Press), che offrono una panoramica completa delle storie pubblicate. Inoltre, gli studi su Harvey Kurtzman, come The Art of Harvey Kurtzman: The Mad Genius of Comics di Denis Kitchen e Paul Buhle, analizzano in dettaglio il suo contributo al fumetto moderno. L’eredità della serie si riflette oggi in opere di autori come Daniel Clowes e Chris Ware, che hanno portato avanti la tradizione di una narrazione visiva stratificata e consapevole della propria costruzione mediatica.