Nell’epoca in cui l’immagine sembra avere preso il posto dell’argomentazione, alcune forme di comunicazione tornano a essere gesti minimi e quasi infantili: un frutto tagliato, un commento ripetuto tra milioni di altri, un’icona cambiata sul proprio profilo, un meme. Eppure, proprio in questi elementi apparentemente marginali si manifesta talvolta la strategia più consapevole e precisa di chi desidera aggirare l’ordine stabilito degli algoritmi, le loro preferenze, le loro punizioni. La controcultura digitale non nasce nel gesto di protesta plateale, ma nel dettaglio elusivo che ne scivola ai margini, creando costellazioni di senso difficili da neutralizzare.

Juno Calypso
L’immagine dell’anguria come simbolo di sostegno alla causa palestinese si colloca esattamente in questo punto d’incontro tra visibile e invisibile. La bandiera palestinese, proibita o resa sospetta in alcuni contesti, viene rievocata senza essere tecnicamente presente. Il rosso della polpa, il bianco delle venature, il verde della buccia riproducono, quasi per sineddoche naturale, la stessa armonia cromatica. Su Instagram, dove il sistema di moderazione opera secondo riconoscimenti automatici di parole e forme esplicite, una semplice fetta di frutto diventa messaggio politico, nonostante la sua apparente neutralità. È un gesto che ricorda certe forme di clandestinità iconografica del Novecento, quando una figura, un colore, un’iniziale potevano servire come segnale interno a chi sapeva riconoscere.
Allo stesso modo, quando migliaia di utenti hanno deciso di commentare la situazione di Gaza sotto un video virale di Beyoncé, si è trattato di un’azione collettiva pensata per sfruttare un differente punto cieco degli algoritmi. Il flusso dell’attenzione digitale non è uniforme, scorre verso ciò che già sta attirando sguardi. Il discorso politico, invece di nascere in uno spazio dedicato e dunque marginalizzato o filtrato, si innesta dentro un contenuto di massa, quasi come un innesto botanico. Il contenuto originario continua a vivere, ma vi cresce dentro un significato estraneo, un surplus di senso che lo trasforma. È in questa sovrapposizione, in questa scelta non di creare un luogo alternativo, ma di occupare uno spazio già riconosciuto, che si osserva la capacità della controcultura di muoversi secondo logiche indirette, laterali, elusive.

Juno Calypso
Questi fenomeni non sono isolati. Nel 2020, durante le proteste negli Stati Uniti, le comunità di fan del pop coreano invasero l’app della polizia di Dallas con migliaia di video musicali e gif di idoli, impedendo alle autorità di utilizzare lo strumento per monitorare i manifestanti. Qui la strategia non era simbolica, ma funzionale: rendere un sistema inefficiente sommergendolo di materiale irrilevante. Si trattava ancora una volta di muoversi non frontalmente, ma per saturazione, come l’acqua che entra in un ingranaggio e ne blocca la rotazione senza mai assumere la forma dell’attacco diretto.
In Cina, durante la censura del movimento MeToo, molte attiviste adottarono la figura del coniglio di riso, pronunciato “mi-tu”, riproducendo il suono delle due parole inglesi bandite. Anche in questo caso l’immagine svolgeva la funzione di mantello. Ciò che non si poteva dire poteva ancora essere indicato. È un fenomeno antico quanto la storia del linguaggio: il simbolo come passaggio segreto, come tunnel scavato sotto la superficie del discorso pubblico.

Juno Calypso
Questi esempi, pur diversi tra loro, condividono una logica comune. Gli algoritmi delle piattaforme non operano sulla profondità del significato, ma sulle superfici tracciabili. L’underground contemporaneo non è tanto un luogo quanto una tecnica. Non vive nella clandestinità per scelta romantica, ma perché il campo di battaglia è la visibilità stessa. Se la censura tradizionale agiva per sottrazione, quella algoritmica agisce per filtrazione. Ciò obbliga a non sottrarsi, ma a scivolare. Le controculture di oggi non sono interessate a costruire media alternativi come avveniva negli anni Sessanta e Settanta con le riviste autonome o le radio libere. Mirano piuttosto a piegare il mezzo dominante, insinuandosi nei suoi interstizi, forzandone le logiche dall’interno.
Stiamo assistendo a una mutazione nella storia della comunicazione controculturale: non più la costruzione di un territorio separato, ma la torsione dell’infrastruttura condivisa. Se in passato la distanza dallo sguardo del potere era garantita dalla marginalità, oggi il potere coincide con la capacità di distribuire l’attenzione. Chi vuole resistere deve imparare a camminare sul margine stesso dell’algoritmo, talvolta sfiorandone la soglia, talvolta trasformandone l’inerzia, talvolta sfruttandone la cecità.

Juno Calypso
Ecco perché una fetta d’anguria non è solo un frutto. Ecco perché un commento sotto un video pop non è soltanto un’intrusione. Essi sono la testimonianza di un nuovo tipo di gesto politico: leggero, trasversale, quasi impercettibile, ma capace di trasformare ciò che sembra impermeabile. La controcultura oggi non parla più con voce distinta: parla come eco dentro le voci più forti. Non cerca di gridare più forte, perché sa che nessuno la ascolterebbe. Cerca, piuttosto, di cambiare la direzione in cui il suono si propaga.


Juno Calypso
CENTRO STUDI EDF
SHOP
ABOUT