C’è una fotografia che basta da sola a raccontare un intero decennio: un ragazzo con i baffoni, spettinato, un’espressione a metà tra l’estasi e l’incoscienza, in sella a una moto, mentre una ragazza — altrettanto giovane — sta in piedi sul sellino posteriore, le braccia aperte, l’aria di chi non teme niente perché non ha ancora deciso se crede nella realtà o no. Sono “Hairy Henry” Kot e Phyllis Willner il 17 dicembre 1966, a San Francisco, durante la “Death of Money March”, un titolo che sembra uscito da un sogno marxista orchestrato da un gruppo di teatranti sotto LSD.

Phyllis Willner (a sinistra), 1966
Foto di Gene Anthony

Phyllis Willner in costume e trucco, per il film di Timothy Leary girato nella tenuta di Bill Hitchcock a Millbrook, New York, 1966
Foto di Phyllis Willner

Phyllis che tinge i vestiti a casa di Willard Street. Fotogramma da Nowsreal (1968), per gentile concessione di diggers.org

Phyllis Willner, San Francisco, 1968

I Diggers — perché questo è il nome della compagnia, del collettivo, della setta o della banda, a seconda di chi racconta la storia — avevano deciso che il denaro doveva morire. Non in senso figurato, ma proprio nella pratica quotidiana: abolirlo, restituirlo al nulla da cui era venuto, celebrarne un funerale per scoprire se il mondo poteva ancora esistere senza. E così, quel giorno, il quartiere Haight-Ashbury diventò un palcoscenico improvvisato, un happening in forma di processione. Una bara simbolica portata a spalla, un carro funebre improvvisato, musica classica che si mescolava ai rumori della strada e ai suoni acidi delle prime chitarre psichedeliche che uscivano dai garage vicini. Tutto era simultaneo, tutto era performance.

Phyllis Willner era arrivata a San Francisco da New York pochi mesi prima, scappata da casa, come migliaia di altri ragazzi che avevano sentito un richiamo irrefrenabile che diceva che il mondo, quello vero, non poteva essere quello dei genitori. Aveva diciannove anni e si era innamorata subito dei Diggers: di quella loro idea che il teatro non dovesse stare sul palco ma in strada, che ogni gesto potesse essere un atto politico se abbastanza assurdo, se abbastanza poetico. “Free food, free store, free love” — ma dietro lo slogan, una pratica, un tentativo quasi ascetico di vivere senza economia, di inventare un’economia del dono in una città che stava diventando la capitale mondiale del consumo spirituale.

Hairy Henry, San Francisco, 1967

Hairy Henry era invece una specie di figura liminale: metà hippy, metà Hell’s Angel, una presenza che oscillava fra il teatro di strada e l’anarchia pura. Quel giorno guidava una motocicletta, e Phyllis, come in un gesto di pura allegoria, stava in piedi dietro di lui, le braccia aperte, in bilico tra equilibrio e caduta. Fu arrestato poco dopo, per “condotta pericolosa”.

Il “Death of Money March” fu il tentativo più esplicito dei Diggers di dichiarare guerra al simbolo stesso del sistema. Non chiedevano soldi, non li volevano: chiedevano di seppellirli. Nelle settimane precedenti avevano diffuso volantini stampati nella loro tipografia clandestina: “Il denaro è un male inutile, un’energia pervertita con scritto. “Portate il vostro denaro ai Diggers: lo libereremo”. Liberarlo significava redistribuirlo, oppure bruciarlo, oppure trasformarlo in qualcos’altro — l’azione stessa era più importante dell’esito. Come sempre nei loro gesti, l’assurdità era una strategia: destabilizzare attraverso la messa in scena, far deragliare il reale con una parodia troppo letterale per essere ignorata.

La parata si mosse lungo Haight Street come un corteo funebre di un’altra epoca, pieno di costumi, maschere, improvvisazioni, e con quella specie di sacralità post-teatrale che solo le strade di San Francisco, in quell’anno preciso, potevano ospitare. La musica di Chopin — la Marcia funebre — risuonava da un altoparlante montato su un furgone, seguita da slogan, improvvisazioni poetiche, e un diffuso senso di gioco che, come spesso accadeva con i Diggers, era anche una forma di performance teatrale. C’era qualcosa di religioso nella scena, un’estetica della rinuncia recitata davanti a un pubblico distratto di turisti e poliziotti, e di altri giovani che guardavano cercando di capire se quella fosse arte, protesta o semplice follia. Ho scritto di casi contemporanei di questo approccio a proposito delle proteste No King in altre sedi.

Quando la polizia intervenne e arrestò Henry, la processione non si disperse, semplicemente si spostò, come in un rituale metamorfico, davanti al commissariato, e lì continuò la recita. I Diggers improvvisarono una colletta per pagare la cauzione — in quel preciso momento, la “morte del denaro” si trasformò in una parodia perfetta del suo ritorno, il denaro necessario per liberare chi era stato arrestato mentre celebrava la sua fine. Era l’essenza del loro teatro politico:

mettere in scena il paradosso fino al punto in cui la realtà, esausta, non potesse più reggere la coerenza.

Visti oggi, Phyllis e Henry non sono solo due figure marginali della storia della controcultura: sono frammenti viventi di una tensione irripetibile, quella tra utopia e ironia, tra il bisogno di credere in un altro mondo e la consapevolezza tragica che ogni gesto rivoluzionario si consuma nell’istante in cui diventa spettacolo. La loro immagine, congelata in quella fotografia, è la sintesi di un’idea che i Diggers avevano portato all’estremo:

non si può cambiare il mondo se non si cambia il linguaggio con cui lo si immagina.

La “Death of Money March” fu, in definitiva, un atto estetico più che politico, un happening che tentava di tradurre il disgusto per il denaro in liturgia pubblica, in rito urbano. In quell’istante, per qualche ora, Haight-Ashbury smise di essere un quartiere e diventò una metafora:

la prova generale di un mondo possibile, una mini-utopia performativa dove ogni gesto era contemporaneamente ironico, sacro e disperato.

E forse è per questo che quella foto continua a affascinare ancora oggi: perché non mostra solo due giovani belli e folli, ma l’istante in cui la libertà stessa — come il denaro, come l’arte, come ogni simbolo — fu messa in scena, uccisa, e poi fatta risorgere sul ciglio di una strada.

Diggers, San Francisco, “Death of Money March”, 17 dicembre 1966