Oscar Gustave Rejlander, artista e fotografo svedese attivo nel XIX Secolo, è una figura cruciale nella storia della fotografia, celebrato per aver ampliato i confini del medium e per aver dimostrato il suo potenziale artistico. La sua opera più famosa, Two Ways of Life, realizzata nel 1857, rappresenta uno spartiacque sia dal punto di vista tecnico che culturale, nonché un manifesto delle ambizioni della fotografia di competere con le arti tradizionali come la pittura accademica.
Il lavoro ritrae un giovane posto davanti a una scelta morale: a sinistra il cammino dei vizi, rappresentato da scene di gioco d’azzardo, sensualità e piaceri terreni, a destra il percorso delle virtù, raffigurato attraverso immagini di lavoro, studio e devozione religiosa. Al centro, un anziano saggio guida il giovane, in una composizione che richiama esplicitamente le allegorie morali della pittura accademica e le opere di maestri come Raphael. Questa fotografia non è un’unica esposizione, ma il risultato di un lavoro straordinario di combinazione che porta alla realizzazione di uno dei primi fotomontaggi compositi.
In un’epoca in cui la fotografia era prevalentemente documentaria, Rejlander combinò circa 32 negativi distinti per creare un’unica immagine finale, un processo che richiedeva straordinaria abilità tecnica e una visione artistica avanzata. Ogni figura e dettaglio della composizione venne fotografato separatamente, con l’ausilio di modelli dal vivo e ambientazioni costruite in studio, utilizzando una tecnica di mascheratura per isolare e integrare porzioni dei negativi successivamente trasferiti su una lastra finale. Questo metodo complesso permise a Rejlander di costruire una narrazione visiva che rappresenta un dualismo allegorico tra virtù e vizio, ispirato ai grandi dipinti rinascimentali. L’innovazione del processo risiedeva nella capacità di unire più immagini con una precisione tale da mantenere coerenza prospettica, uniformità delle ombre e fluidità estetica, sfidando le limitazioni tecniche dell’epoca e spingendo la fotografia verso il regno dell’arte concettuale.
Secondo Aaron Scharf, “Rejlander dimostrò che la fotografia poteva ambire a una complessità compositiva e simbolica al pari delle grandi opere pittoriche dell’epoca” (Art and Photography, Penguin Books, London, 1968, p. 124).
L’opera nacque in un periodo in cui la fotografia era ancora considerata una mera tecnologia di registrazione e lottava per essere riconosciuta come forma d’arte. Rejlander, formatosi inizialmente come pittore, abbracciò la fotografia non come semplice documentazione della realtà, ma come mezzo per creare narrazioni visivamente elaborate e simboliche. L’intento di Two Ways of Life era dimostrare che il medium fotografico poteva essere usato per affrontare temi complessi e universali, come la scelta tra bene e male, e che poteva competere con la pittura nell’evocare emozioni e riflessioni morali.
Nonostante la tecnica rivoluzionaria, l’opera suscitò polemiche per i suoi nudi femminili, ritenuti scandalosi in una società vittoriana profondamente moralista. Tuttavia, questo stesso scandalo contribuì alla notorietà dell’opera, che fu acquistata dalla Regina Vittoria per il Principe Alberto, segnando un importante riconoscimento istituzionale per la fotografia artistica.


Oscar Gustave Rejlander, The Two Ways of Life, c.1857

Two Ways of Life rappresenta un passaggio fondamentale nella costruzione dell’immaginario collettivo attraverso le immagini. L’opera utilizza simboli e codici visivi immediatamente riconoscibili, rendendola accessibile ma anche didattica, anticipando il ruolo pedagogico che le immagini avrebbero avuto nei media di massa.
Il lavoro di Rejlander segna un momento di transizione, dimostrando che la fotografia non è solo uno strumento di registrazione del reale, ma un mezzo capace di creare e manipolare narrazioni, un aspetto che prefigura i dibattiti moderni sull’autorialità e sulla manipolazione delle immagini.
Two Ways of Life esplora il potenziale della fotografia come linguaggio per rappresentare idee astratte e temi morali universali, posizionandosi in continuità con la tradizione allegorica della pittura. Inoltre, la composizione stratificata e artificiosa dell’opera suggerisce una riflessione sulla complessità delle scelte morali e sull’artificio implicito in ogni rappresentazione visiva.
Rejlander, descritto come “un poeta del collodio umido” da Helmut Gernsheim (The History of Photography, Thames & Hudson, London, 1982, p. 158), non solo influenzò i fotografi della sua epoca, ma anticipò temi e tecniche che sarebbero stati centrali nella fotografia concettuale del XX Secolo. La sua capacità di orchestrare ogni elemento dell’immagine con una precisione quasi teatrale prefigura l’idea della fotografia come performance.
L’opera Two Ways of Life, pur radicata nell’estetica e nella morale del XIX Secolo, si presta a riflessioni che la collegano direttamente a tematiche centrali della filosofia contemporanea, in particolare attraverso il prisma del postmoderno, del simulacro e della costruzione dell’identità. L’idea stessa di fotografia come mezzo di rappresentazione non neutrale, ma manipolabile e narrativo, anticipa il dibattito filosofico sul rapporto tra realtà, apparenza e costruzione simbolica. Jean Baudrillard, ad esempio, nella sua teoria del simulacro (Simulacres et Simulation, 1981), avrebbe potuto considerare Two Ways of Life come un esempio precoce della sostituzione del reale con una rappresentazione elaborata: la fotografia non si limita a registrare il mondo, ma lo ricostruisce, lo manipola e ne amplifica il significato simbolico.
Rejlander, nella sua tecnica di fotografia combinata, sovrapponeva e integrava differenti negativi per creare una scena inesistente nel mondo reale, anticipando così la questione della “costruzione” della realtà, che sarà centrale nei dibattiti filosofici del Novecento e oltre. Questo processo richiama le riflessioni di Jacques Derrida sul concetto di différance: ciò che vediamo in Two Ways of Life non è solo un’immagine, ma una stratificazione di segni che rimandano ad altri segni, sfuggendo a un significato unico o stabile. La fotografia, quindi, non documenta semplicemente un momento, ma costruisce un discorso che si dispiega attraverso il tempo e il contesto culturale.
L’opera si collega anche alla riflessione contemporanea sull’etica e sulla scelta. Hannah Arendt, nella sua analisi del giudizio morale e della banalità del male (La banalità del male, 1963), sottolinea l’importanza della riflessione individuale nella scelta tra percorsi morali contrastanti. Two Ways of Life, sebbene stilisticamente e storicamente distante, pone una questione analoga: attraverso l’allegoria visiva, invita lo spettatore a confrontarsi con il peso delle scelte e con le tensioni tra istinti e ideali, tra il “mondo della vita” (Lebenswelt) fenomenologico e l’astrazione dei valori morali.
Da un punto di vista sociologico e mediatico, il lavoro di Rejlander è affine alle riflessioni di Walter Benjamin sull’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica (L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, 1936). L’elaborata costruzione di Rejlander smentisce infatti l’idea di una fotografia intesa come puro riflesso della realtà, proponendola invece come un atto creativo che porta con sé una riflessione sull’autenticità, sulla copia e sulla possibilità di manipolare il medium. Benjamin, che associava il cinema e la fotografia alla perdita dell’aura dell’opera d’arte unica, avrebbe probabilmente trovato in Two Ways of Life una dimostrazione che anche una tecnica apparentemente “riproducibile” può essere utilizzata per scopi artistici e filosofici, senza rinunciare a una dimensione trascendente.
Infine, l’opera si presta anche a una lettura attraverso la lente della filosofia morale contemporanea, in particolare nel contesto della “complessità delle scelte” di Zygmunt Bauman. Nel suo libro Modernità Liquida (2000), Bauman esplora come la modernità abbia destabilizzato le certezze etiche, spingendo gli individui a navigare tra scelte multiple e spesso ambivalenti. L’opera di Rejlander, con la sua impostazione dicotomica, può essere interpretata come una rappresentazione anticipatoria di questa condizione: apparentemente semplice nella sua opposizione tra vizi e virtù, la fotografia riflette in realtà una complessità morale che risuona nella condizione contemporanea.
Two Ways of Life non è insomma solo un’opera di fotografia del XIX Secolo, ma un precursore visivo e concettuale di temi centrali della filosofia contemporanea: il simulacro, la costruzione della realtà, la stratificazione dei significati e l’ambiguità delle scelte morali. Rejlander, attraverso il suo innovativo uso della fotografia, ha anticipato riflessioni che avrebbero trovato piena espressione nel dibattito filosofico e culturale del XX e XXI Secolo.
L’eredità di Two Ways of Life risiede nella sua audacia: dimostra che la fotografia non è solo un mezzo di registrazione, ma uno strumento di creazione artistica, capace di sintetizzare narrazioni complesse e multidimensionali. In un’epoca in cui il ruolo delle immagini nella cultura era in rapida trasformazione, Rejlander contribuì a ridefinire ciò che il medium fotografico poteva essere, aprendo la strada a una concezione della fotografia come linguaggio artistico e intellettuale.