La cultura giovanile è nota perché molto spesso, è caratterizzata da una sua specifica e imprevedibile linfa di ribellione, ma questa tendenza all’insurrezione potrebbe aver raggiunto uno dei suoi picchi creativi, forse l’ultimo vero picco creativi, nella Gran Bretagna degli anni Settanta quando emerge con forza genuina il punk.
Poly Styrene, X-Ray Spex a The Round House, 1978, litografia. Collezione di Andrew Krivine.
Proponendo l’ideologia del chiunque può farlo, successivamente definita dallo slogan Do it yourself, i giovani punk dell’epoca iniziano a trasformare la scena musicale da raffinata e eterodiretta a qualcosa di veloce, aggressivo ma soprattutto autodiretta. Il vinile da 7 pollici realizzato in modo indipendente diventa il centro, il simbolo, il fulcro dell’estetica punk che i designer assoceranno ad altri riferimenti artistici quali il collage dadaista, la stampa underground degli anni Sessanta e la grafica di protesta politica del Sessantotto parigino.
Generalizzando molto, si può dire che il punk ha a che fare con il concetto di opposizione – ancora meglio di rifiuto – che si tratti di moda, di letteratura o di musica.
Secondo il sito inglese HitsvilleUK di Russ Bestley, la regola generale quando si tratta di musica del periodo punk, è: “se non si può dire in tre minuti, non vale nemmeno la pena dirlo” e in questo motto chiaro e coinciso ci si ritrova il punk ma anche tutti i suoi sottogeneri, dal Proto Punk al Novelty Punk, fino all’Anarcho Punk.
Lo stesso concetto non vale solo per l’ambito musicale, ma in perfetta coerenza sostanziale, anche per il design grafico del punk: veloce, disordinato, grezzo, diretto, che si tratti della copertina di un album, di un poster promozionale o di una fanzine.
“Quella punk è un’arte di convenienza, che faceva uso di collage, disegni e scritte a mano, fumetti, stencil e soprattutto fotocopie Xerox in bianco e nero”.
Queste scelte non vengono fatte per mancanza di pianificazione o conoscenza del design. No. Ogni progetto viene creato con l’intenzione di mettere in discussione gli standard classici del mainstream, ma anche dell’underground press precedente, per sfidare le norme della cultura contemporanea insomma.
Molti musicisti e grafici divenuti icone dell’estetica punk hanno infatti un background consapevole della progettazione grafica.
Mail-out del fan club dei Ramones, Los Angeles, USA, 1977. Fonte: Punk: An Aesthetic (Rizzoli)
Prendiamo ed esempio, Penny Rimbaud o Gee Vaucher, storici fondatori della rinomata band Crass hanno entrambi studiato progettazione grafica lavorando in particolare in ambito editoriale con libri e composizione di poster.
L’estetica punk quindi – come in alcuni casi avviene in Inghilterra soprattutto – è tutt’altro che ambigua e sprovveduta ma, al contrario, riveste un denso corpus di segni, elementi e concetti ed è un interessante campo di studi nella storia della grafica a cui, per esempio, è dedicata anche una specifica rivista inglese, Punk & Post-Punk.
Opuscolo situazionista di David Jacobs, USA, 1973. Fonte: Punk: An AestheticSex Pistols, poster Pretty Vacant, Regno Unito, 1977. Design: Jamie Reid. Fonte: The Art of Punk (Omnibus Press) Gli autobus sembrano provenire dal progetto di David Jacobs. Reid afferma di aver inviato l’immagine al gruppo situazionista nel 1973Pretty Disobedient, poster serigrafato di Shepard Fairey, USA, 2001. Firmato da Fairey
Johan Kugelberg cerca di dimostrare questo assunto nel suo libro Punk: An Aesthetic, scritto in collaborazione con Jon Savage, che con la tipica schiettezza del punk stesso ci tiene a sottolineare come:
“La storia dell’estetica punk non può essere raccontata, ma solo mostrata”.
Poster che promuove un concerto dei Crass, Regno Unito, 1978. Fonte: Punk: An Aesthetic
Incentrato sui sette storici numeri di Good and Plenty fanzine prodotti tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, Hardcore Fanzine analizza questa pubblicazione focalizzandosi sulla grafica e sulla tipografia sottolineando quelli che sono gli aspetti tipi del periodo interessato. I contributi di svariati graphic designer e di appassionati della scena hardcore aiutano a ripercorrere la storia della fanzine e le modalità con cui questa veniva creata.
Viene anche, a mio viso molto giustamente, sottolineata l’importanza di Good and Plenty nell’aver saputo creare uno spirito di comunità e di spazio sociale condiviso e soprattutto alternativo in un’era – come quella pre-Internet – in cui ancora questo era (facticoso ma) possibile. Interessante a mio avviso lo studio dell’utilizzo dei caratteri tipografici utilizzati in Good and Plenty e diventati molto spesso un classico nell’iconografia hardcore successiva.
Good and Plenty è stata una fanzine pubblicata come ogni prodotto di questo genere, partendo dall’amore e dalla passione di alcuni ragazzi come Sion e Gabe Rodriguez residenti nello stato dell’Illinois. Originariamente prodotta in collaborazione con l’amico Mike Good, Rodriguez ha in seguito assunto da solo il ruolo di grafico e produttore della fanzine, assistito irregolarmente da una squadra di amici che variavano da numero a numero. Con la loro assistenza e una rete di fan da tutto il paese, Good and Plenty presentava materiali fotografici originali perfetti per documentare gli spettacoli dal vivo di band come i Gorilla Biscuits, i Judge, i Bold e altre band hardcore del periodo. Conteneva interviste alle band; le immancabili recensioni di spettacoli e nuove uscitee alcuni interessantissimi saggi di Rodriguez, Alyssa “Blowin ‘Chunx” Murray e Kim Nolan su una serie di argomenti che andavano oltre la musica: passando dal vegetarismo ai diritti delle donne, dalle relazioni di genere al razzismo, dalla cultura pop alla guerra in Iraq. Un testo di Walter Schreifels — musicista americano, membro dei Gorilla Biscuits, Youth of Today, Quicksand e molte altre band — colloca Good and Plenty in un ben definito contesto storico che analizza e definisce alla perfezione in un suo breve scritto presente in Hardcore Fanzine.
Hardcore Fanzine, oltre all prefazione di Gabe Rodriguez, presenta la riproduzione completa di tutti e sette i numeri di Good and Plenty oltre a belle riproduzioni di una selezione di incisioni e fotografie originali della fanzine. Altri contributi presenti nella pubblicazione sono di di Kristian Henson, Briar Levit, Ian Lynam, Gabriel Melcher, Anthony Pappalardo, Nate Pyper, Ali Qadeer e Gabe Rodriguez. Progettato da Partition e edito dalla sempre ligia Draw Down Books Hardcore Fanzine è un lavoro per appassionati del genere che vogliano approfondire la conoscenza di una delle fanzine più complete e ben fatte degli anni Ottanta e Novanta, con una capacità (assai rara) di riuscire a mantenere il proprio focus sulla scena hardcore ma, nello stesso tempo, a spaziare ed ampliare i temi con uno speciale livello di analisi e competenza che hanno portato Good and Plenty ad essere un riferimento anche al di fuori dei confini degli Stati Uniti. Brossura, 144 pagine, stampa offset a 2 colori, Good and Plenty la potete acquistare QUA.
Nel 1971, l’artista in erba Arturo Vega fu arrestato a Città del Messico con altri 149 ragazzi. Sulla prima pagina del quotidiano messicano El Nacional del 13 febbraio 1971 compariva il titolone: “La polizia giudiziaria federale arresta 149 hippies degradati di entrambi i sessi”.
Vega (1947-2013) portò questo ritaglio con sé fino alla sua morte avvenuta nel 2013, una sorta di promemoria dell’oppressione che regnava in Messico e cche lui riuscì a malapena ad evitarsi emigrando a New York City.
Questi fantomatici hippies detenuti erano in realtà 148 e fra di loro c’erano attori, attrici, artisti, scrittori, poeti e registi, tra cui anche il famoso cineasta cileno Alejandro Jodorsky, arrestati tutti durante una festa in un sobborgo ricco di Città del Messico.
Il ritaglio sarebbe diventato molto più che un semplice ricordo del suo passato hippie e lo avrebbe accompagnato, regalandogli una fama immortale, ben oltre quello che lui stesso si aspettava quando decise di tenerselo in tasca. Vega si trasferisce a New York poco dopo l’arresto per intraprendere la carriera nelle arti dello spettacolo facendo anche un provino come comparsa per la versione itinerante del musical di Broadway Hair e iniziando a creare collage ed altre grafiche a partire dal 1970. Nel suo lavoro iniziale, Vegausa il collage in centinaia di lavori fra i quali poster, volantini e grafiche varie, ma come spesso accade, sarà un’opera in particolare a proiettarlo nella leggenda, un’opera che prende spunto proprio da quella pagina di giornale del El Nacional. A New York City nel 1973, Vega vive e lavora in un grande soppalco al numero 6 East di 2nd Street e, proprio in questo periodo, incontra e diventa amico di un allampanato musicista di nome Jeffrey Ross Hyman, presto conosciuto da tutto il mondo come Joey Ramone, prima che i Ramones stessi si formassero nel 1974 e iniziasse a suonare allo storico locale newyorchese CBGB , situato proprio dietro l’angolo rispetto a dove si trovava il loft di Vega.
Il loft era una versione punk della Warhol’s Factory, liberamente vissuta ed occupata da una popolazione sempre nuova che prendeva i propri spazi fra divani e letti consumati e i tavoli da lavoro sparsi per l’intero spazio.
Proprio Joey e la sua band iniziano ad essere famosi, per il loro sound nuovo e originale, per il loro look così diverso, libero e sbarazzino.
Man mano che la fortuna dei Ramones cresce, anche Vega inizia a trovare maggiore spazio nell’ambiente artistico della grande Mela, inizia collezionare opere d’arte: Warhol, Barbara Kruger, Richard Hambleton e contribuisce alla gestione della galleria Spiritual America co-fondata con Richard Prince nel 1983.
All’inizio Vega è conquistato dalla potenza fulminea dei brani da tre minuti e via, dall’energia dei Ramones e da quello che considerava il loro look tutto americano fatto di jeans strappati, scarpe da ginnastica e giacche di pelle.. proprio per questo suo amore incondizionato per loro, li lascia vivere e provare nel suo loft. Per loro disegna un grande banner per lo sfondo del palcoscenico che riportava semplicemente la grande scritta RAMONES in lettere nere su uno sfondo bianco, uno sfondo da appendere sul palco mentre suonano.
Il carattere e la tipografia del logo provengono direttamente da quel titolo di El Nacional che ancora Vega tiene con se.
Il primo banner di Arturo Vega per i Ramones
La casa di Vega diventa The Ramones Loft, un magazzino e quartier generale spesso utilizzato per interviste e servizi fotografici per le prime foto della band,
Da quel primo semplice lavoro, Vega inizia a stampare il logo con la sola parola sulle magliette da vendere per strada.
I membri della band inizialmente non credono molto nell’idea di merchandising che propone Arturo, si chiedono infatti chi diavolo si sarebbe preso la briga di comprarsi una maglietta con il nome di una band sconosciuta.
Arturo con Joey e Dee Dee Ramone con le prime t-shirt.
La band però decolla sul serio e iniziano concerti in spazi molto più grandi per la forte richiesta da parte dei giovani che conosono a memoria tutti i pezzi e non vedono l’ora di scatenarsi al ritmo frenetico di one, two, three..
E’ proprio in questo periodo che Vega scopre su una fibbia di una cintura trovata per strada, la grafica di un’aquila dall’aspetto istituzionale e la fotografa convinto che quello stemma può essergli utile, anche se ancora non sa ne il perché ne il come…
Nel 1976 scopriamo come utilizza l’aquila che infatti ritroviamo nella prima versione della t-shirt, una sorta di prototipo di quello che sarà.
Arturo Vega con t-shirt logo e aquila.Ma il logo ancora non lo convince del tutto, manca qualcosa e questo qualcosa è il grande logo preso direttamente dallo stemma del Presidente degli Stati Uniti perfetto per i Ramones, con le frecce che supportano l’aquila a simboleggiare la forza e l’aggressività innocente e un ramoscello d’ulivo. Da qui, il passo è stato breve e fatto di piccoli aggiustamenti grafici.. è stato infatti tolto l’ulivo ed al suo posto inserito un ramo di melo, questo per sottolineare una volta di più l’origine americana – come la caratteristica torta di mele – della band.
Per finire, visto che Johnny era un fanatico del baseball, fra gli artigli dell’aquila è stata inserita una mazza da baseball che ha sostituito le frecce.Logo Presidenziale degli Stati Uniti d’America
Sul retro del secondo album della band, il logo appare più o meno così..
Il primo logo ufficialeLo sviluppo del logo Ramones è direttamente riconducibile all’aquila nel cerchio della lettera O che è nella testata della famosa prima pagina di El Nacional con cui ho iniziato il pezzo.
Sviluppato ulteriormente il logo Ramones, Vega inizia ad indossarlo su vari modelli: camicie, t-shirt e altro ed a farsi fotografare con il merch della band.
Vega sostituisce poi le parole presenti nello stemma ufficiale del Presidente degli Stati Uniti con i nomi dei membri del gruppo e, solo in alcune delle prime versioni del logo, le parole LOOK OUT BELOW che vanno a sostituire E PLURIBUS UNUM sul nastro che parte dalla bocca dell’aquila.
Nelle versioni successive le parole sono state cambiate ancora nel ben più famoso motto della band: HEY HO LET’S GO!
L’aspetto più interessante del lavoro di Vega è la decisione di creare un logo per un gruppo rock visto che, a ben guardare, l’unico vero precedente in questo senso è la bocca che John Pasche ha creato per i Rolling Stones nel 1971.
Pasche però lavorava con un gruppo già famoso in tutto il mondo e il suo logo è stato progettato principalmente per rafforzare l’immagine di cattivi ragazzi che avevano gli Stones e non per accompagnarli verso il successo con un logo che connotasse la band fin dalle origini.
La sfida di Arturo Vega è diversa proprio perché lavorava con un gruppo sconosciuto ed il suo logo basato sull’iconografia presidenziale ha cercato di conferire personalità e autorità alla band diventandone parte fondamentale per tutta la carriera dei Ramones.
Dopo che il logo è stato utilizzato per le t-shirt, il passo successivo è stato quello di portarlo sul palco con la band e così fu..
La maglietta diffuse in tutti gli States e anche oltre il marchio della band e divenne un vero fenomeno commerciale, vendendo ad un ritmo enorme. All’inizio Vega stampava nel suo loft, comprando le camicie nere alla rinfusa su Canal Street e allestendo una tipografia artigianale proprio nel loft arrivando addirittura a chiedere aiuto ai bambini del vicinato locale per rispondere alle enormi richieste.
Ben presto però la domanda divenne troppo insistente e Vega dovette concedere la licenza della produzione a società esterne che in seguito riguardò non solo le t-shirt ma anche scarpe da ginnastica e calze, pantaloncini, giacche, portafogli, tavole da skate, vestiti per bambini, cappelli e adesivi, tutti immancabilmente con il logo Ramones.
A dimostrazione di questo rapporto simbiotico fra Vega e la band e soprattutto con questo suo logo, è da ricordare come lo stesso Vega si fosse fatto tatuare la grafica sulla schiena alcuni anni prima di morire.
Arturo Vega
Oggi, il nome di Vega è sinonimo di un logo, un logo unico ed entrato immediatamente e per sempre nella storia della grafica underground, stampato in infinite t-shirt, bandiere, spille e quant’altro. Si tratta del logo ufficiale dei Ramones, la band di Gabba-Gabba-Hey..
Punk era una rivista musicale molto vicina allo stile fanzinaro, creata dal fumettista John Holmstrom e prodotta dall’editore Ged Dunn insieme al critico musicale Legs McNeil nel 1975.
Proprio dalle pagine di Punk magazine emerge con tutta la prepotenza del periodo, il genere musicale denominato Punk rock, definizione coniata pochi anni prima dalla rivista di Detroi Creem.
Il gruppo fondante di Punk era la perfetta unione di varie influenze che a metà degli Settanta stavano uscendo dalla penombra: un mix di musica ruvida quale quella degli Stooges di Iggy Pop, The New York Dolls e The Dictators ed un’estetica molto devota al mondo del primo fumetto underground come Zap Comix e Mad magazine.
Solo qualche anno più tardi, fu proprio Holmstrom a consegnarci quella che – a mio avviso – resta la migliore definizione di Punk Magazine, e cioè “la versione stampata di The Ramones”.
Fu grazie a Punk che la scena musicale – e non solo – legata allo storico locale CBGB di New York cominciò ad essere conosciuta un pò in tutti gli States ed a diffondere vere e proprie tendenze, stili e, senza rischio di esagerare, un nuovo stile di vita indipendente e underground.
Punk ha pubblicato 15 numeri tra il 1976 e il 1979, oltre a un numero speciale nel 1981, più molti altri numeri nella sua seconda vita dopo gli anni 2000.
Le sue copertine comprendevano tutto il meglio della musica del periodo: dai Sex Pistols a Iggy Pop, da Lou Reed a Patti Smith e Blondie.
La rivista divenne in breve tempo uno strumento per far conoscere la scena musicale underground di New York e soprattutto il punk rock che si ascoltava in locali quali appunto il CBGB, ma anche lo Zeppz ed il Max’s Kansas City.
CBGB – New YorkMax’s Kansas City – New York
Punk è riuscito a unire alcuni dei migliori fumettisti underground del periodo come lo stesso Holmstrom, Bobby London e un giovanissimo Peter Bagge lasciando però che le pagine fossero completate anche da un giornalismo dallo stile molto pop e diretto che rese la rivista molto diversa dalle altre del periodo che, dopo anni di dura appartenenza al mondo underground, mostravano cenni di stanchezza cercando nuove strade e stili. proprio questo giornalismo ha portato alla ribalta uno nuova generazione di scrittori, artisti e fotografi che non venivano presi in considerazione dalle testate come Rolling Stone e Creem che viaggiavano oramai su tirature di ben altro tipo.
Questi giovani talenti mossero i loro primi passi proprio su Punk magazine, scrittori e registi quali come Mary Harron (Ho sparato a Andy Warhol e American Psycho), la poetessa Pam Brown, artisti com il Buz Vaultz di Vampirella, Anya Phillips ovvero una delle prime ballerine hardcore del CBGB e il grande critico musicale Lester Bangs allora poco più di un ragazzo.
Nel 1977 Dunn e McNeil lasciano il progetto e al loro posto arrivano l’art director Bruce Carleton, Ken Weiner e Elin Wilder, una delle poche personalità di colore coinvolte nella scena punk rock del periodo.
Figura centrale nell’intero percorso editoriale di Punk è senz’altro John Holmstrom.
Nato nel 1954, Holmstrom è un fumettista e scrittore underground americano noto soprattutto per aver illustrato le copertine di band storiche quali Ramones Rocket in Russia e Road to Ruin.
Ramones – Rocket in Russia (1977)Ramones – Rocket in Russia (1977)I Ramones con McNeil e John Holmstrom di PUNK
Grande successo ebbero anche alcuni dei suoi personaggi, Bosko e Joe inizialmente pubblicato nella rivista Scholastic’s Bananas.
Come detto, all’età di soli 21 anni è tra i fondatori di Punk magazine ed in seguito collabora con altre testate tra cui The Village Voice, K-Power,Heavy Metal e High Times.
Nel 1986, Holmstrom ha lavorato al numero speciale di Spin magazine contribuendo alla creazione della cronologia del punk rock basata sui fumetti che ne hanno accompagnato la storia.Come detto, Punk è uscito per pochi numeri nuovamente nel 2007 ma il tempo era passato e l’underground con lui.
Il 100 Club, lanciato nel 1942 come Feldman Swing Club, era frequentato durante la seconda guerra mondiale dai militari e dalle stelle del jazz come BB King e Muddy Waters negli anni ’50, ma è stato negli anni ’70 quando che è diventato un luogo storico e di culto per la scena punk ospitando il “The 100 Club Punk Special”, un evento che comprendeva band quali Sex Pistols, Siouxsie e Banshees, The Clash, Buzzcocks e The Damned, praticamente il punk e tutto la cultura underground che esso stava lanciando nel mondo.
Per celebrare questo leggendario club Fred Perry e Dittopubblicano adesso un libro di storie e aneddoti sulla sua storia lunga 75 anni. Dai musicisti che hanno suonato lì alle persone dello staff del bar fino ai clienti che hanno servito.. ogni storia è una storia unica che aggiunge pagine alla leggenda ed al mito di questo club.
Tuttavia non erano solo le band la forza di questo locale indipendente, ma anche e soprattutto le tribù di fan che stavano scoprendo il punk e l’intera cultura underground che esso trascinava con se.
La copertina bianca serigrafata in viola, le carte interne colorate e gli inchiostri speciali utilizzati , uniti alle fotografie di artisti come Elaine Constantine, rendono questo volume un opera ricercatissima come si conviene per una delle istituzioni più amate del Regno Unito.
Mentre assistiamo in questi giorni e mesi ad un prepotente assalto delle politiche di una destra pericolosa e prepotente in Polonia ed in Ungheria, è interessante notare come invece circa 30 anni fa questi stati furono dei veri e propri laboratori vivaci e scoppiettanti dove nacque e si sviluppò il movimento punk.
Le band punk e new wave erano moltissime ed alla costante ricerca di visibilità, pur volevano mantenere il loro status di fenomeni underground. Proprio in questa scena sono stati creati poster che con il tempo hanno preso il nome di antiplakas.
Si tratta di un fenomeno visivo, di un vero e proprio stile grafico che rappresentava anche e soprattutto un codice di comportamento per chi si riconosceva un’estetica della cultura giovanile chiamata Kádár.
Questi poster ebbero una vita brevissima prima che venissero strappati e cancellati eppure hanno funzionato in quello che era il loro scopo principale: comunicare la via e gli spostamenti dei concerti e delle band del periodo.
“Golden Age of Hell” è un enorme libro eccezionale realizzato da due collezionisti György Szabó e Tamás Szőnyei.
Il mondo underground resiste e vive pulsante, più o meno nascosto, anche in queste splendide attività di rivisitazione che dimostrano, se mai ce ne fosse bisogno, che il tempo cambio ma non cancella.