Quella che vi voglio presentare oggi è la storia di una rivista quasi del tutto sconosciuta in Italia ma che ha avuto il merito, con la sua storia di innovazioni e coerenza, di rappresentare al meglio uno spaccato culturale più ancora che temporale, della Germania di circa un secolo fa. L’Arbeiter-Illustrierte Zeitung (AIZ) è stata infatti una delle pubblicazioni più interessanti e innovative di quella fase storica che possiamo ricondurre cronologicamente al periodo della cosiddetta Repubblica di Weimar, ovvero il Reich tedesco nel periodo che intercorre tra il novembre 1918 e il 1933.
AIZ – in italiano il Giornale illustrato dei lavoratori – era una rivista illustrata tedesca pubblicata tra il 1924 e il marzo 1933 a Berlino, successivamente a Praga e infine a Parigi fino al 1938, anno della sua definitiva chiusura.
In termini di contenuto, AIZ si caratterizzerà sempre per la sua ferrea e intransigente presa di posizione a favore degli oppressi mentre dal punto di vista squisitamente formale, la rivista ricercherà sempre un approccio assolutamente innovativo tramite l’utilizzo di prime forme di infografiche, grandi reportage fotografici e soprattutto la sperimentazione visiva riscontrabili soprattutto nei fotomontaggi dell’artista John Heartfield di cui ripercorreremo la storia e soprattutto analizzeremo i lavori grafici nella seconda parte dell’articolo. Per questi e altri motivi che cercherò di mettere in evidenza L’Arbeiter-Illustrierte Zeitung è stata a tutti gli effetti la rivista politica più originale del suo tempo.

RIVOLUZIONARI IN TEMPI NON RIVOLUZIONARI
La Repubblica di Weimar è stata la diretta conseguenza di una rivoluzione. Nel novembre 1918 infatti, un movimento di massa rovesciò il Kaiser e tutti i 22 re e principi regnanti nel frastagliato universo politico e istituzionale tedesco, ponendo di fatto fine alla Prima Guerra Mondiale e gettando la Germania in uno stato di caos a cui si aggiungevano le criticità del tragico ritorno a casa delle migliaia di soldati reduci dal primo conflitto globale.
Gli anni successivi furono caratterizzati da crisi, inflazione e instabilità politica. I militari e la destra radicale cercarono in più di un’occasione di prendere il potere attraverso forme più o meno democratiche. Allo stesso tempo, il movimento operaio si radicalizzava e presto, sull’onda lunga della Rivoluzione Russa, tentò di dirigere le sue proteste contro la forma capitalista della società.
I territori della Baviera e di Brema furono trasformati per alcuni mesi in vere e proprie repubbliche socialiste sull’esempio di quelle sovietiche mentre nella parte occidentale del paese gli scontri continui fra fazioni senza alcun definitivo vincitore sottolineavano ancor di più l’instabilità dell’assenza di guide politiche e istituzionali. Negli anni che seguirono, vi furono ripetute azioni e dimostrazioni locali e scioperi su larga scala da parte dei lavoratori.
Solo nel 1924 la Repubblica di Weimar entrò in una fase di relativa stabilizzazione. L’economia conobbe una piccola ripresa, i salari dei lavoratori aumentarono lentamente ma costantemente. Questa nuova situazione metteva il neonato Kommunistische Partei Deutschlands (KPD) – Partito Comunista Tedesco – di fronte a una sfida quasi paradossale: come cioè si potesse agire da rivoluzionari in tempi non rivoluzionari. La risposta a questo dubbio aveva molto a che fare con il ruolo dell’editoria, soprattutto con quella che Antonio Gramsci definirà pochi anni dopo egemonia culturale. (1)
Al tempo della Repubblica di Weimar, tutta la produzione editoriale vicina al KPD contava 37 quotidiani ma il numero complessivo degli abbonati non superava il numero dei membri del Partito e questa penuria di lettori era dovuta soprattutto alla grande debolezza dei collaboratori, dei giornalisti e dei redattori, che non parlavano la medesima lingua delle masse mostrando così tutto il distacco tra i lavoratori e quelli che sarebbero dovuti essere gli intellettuali di riferimento.
Nel 1925, ad esempio, il Partito Comunista Tedesco contava 120.000 iscritti mentre la tiratura del giornale di riferimento – Die Rote Fahne ovvero La Bandiera Rossa – arrivava al massimo a 65.000 copie.

 

Die Rote Fahne

 

Anche la storia di Die Rote Fahne sarebbe tutta da approfondire visto che accompagnò senza interruzioni la parabola del movimento operaio tedesco fino al termine della Seconda Guerra Mondiale. Fondato a Berlino il 9 novembre 1918, inizialmente era realizzato dal gruppo Spartakusbund, gli Spartachisti di Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg. Solo successivamente alla formazione del Partito Comunista Tedesco del 1 gennaio 1919, divenne l’ organo centrale del partito fino al 1945.
La medesima disaffezione del mondo operaio rispetto alle cosiddette élite culturali del partito, la riscontriamo tre anni dopo, quando un sondaggio interno mostrava che poco meno del 75 per cento degli iscritti era abbonato a uno dei vari quotidiani del KPD. Nel complesso si può quindi affermare che la diffusione dei giornali comunisti ristagnava durante il periodo della Repubblica di Weimar come dimostra anche l’esempio di un altro quotidiano, il Ruhr Echo, quotidiano della Ruhr, anch’essa pubblicazione organica al Partito Comunista Tedesco, che tra il 192e e il 1929 passò dai 40.000 a 26.550 lettori.
I motivi alla base di questa disaffezione furono individuati tramite un’indagine effettuata nel 1924 tra i lettori del distretto di Berlino di Die Rote Fahne da cui emerse, per esempio, come molti articoli, in particolare gli editoriali, fossero estremamente difficili da capire per i lavoratori e le lavoratrici.
Ulrich Eumann, autore di un recente studio sulla storia sociale del KPD (2) ha così riassunto tali limiti: «La più grande carenza della stampa quotidiana comunista era la sua modesta attrattiva per colpa soprattutto del suo estremo linguaggio dogmatico». Le redazioni delle maggiori testate vicine al Partito Comunista Tedesco insomma usavano come metro di paragone gli interessi oggettivi del pubblico, cioè i bisogni che i lettori avrebbero dovuto avere piuttosto che quelli che realmente avevano.

 

Ruhr Echo

 

LA DIFFERENZA DELL’ARBEITER-ILLUSTRIERTE ZEITUNG
L’esempio dell’Arbeiter-Illustrierte Zeitung dimostrò invece come era del tutto possibile per la sinistra radicale nella Repubblica di Weimar realizzare un prodotto editoriale assai attraente e leggibile, ma cerchiamo brevemente adesso di tracciarne un percorso storico.
La storia dell’AIZ ha inizio nel 1921 quando nella giovane Unione Sovietica scoppiò una profonda carestia a cui fece seguito l’appello di Lenin all’intera classe operaia internazionale affinché fornisca aiuti e cooperazione. A questo scopo nasce l’International Workers Aid (IAH), un’organizzazione ideata proprio per combattere la carestia guidata da Willi Münzenberg e Clara Zetkin, un esempio virtuoso che seppe unire socialisti e comunisti, anarchici e centristi in un’unica organizzazione a cui collaborarono anche personaggi quali George Grosz, Albert Einstein e George Bernhard Shaw.
Per sostenere il lavoro della IAH venne promossa anche la rivista mensile Sowjet Russland im Bild, pubblicata in Germania dall’autunno 1921. La rivista, come disse Lilly Becher, in seguito caporedattore dell’AIZ, «non era un capolavoro, le pagine erano grigie e scarne, le foto tecnicamente di scarsa qualità» (3), il tutto quindi rendeva la pubblicazione assai lontana dagli standard qualitativi raggiunti generalmente dai grandi editori del tempo. Tuttavia, grazie all’importanza dei collaboratori e alla qualità dei contributi il giornale riuscì lentamente ad allargare il proprio pubblico passando dalle 100.000 copie del 1922 alle 180.000 del 1924 e divenendo ben presto qualcosa di più dell’organo istituzionale dell’International Workers Aid.

 

Sowjet Russland im Bild – 1921

 

A partire dal 30 novembre 1924 il giornale cambiò il nome in Arbeiter-Illustrierte Zeitung proponendo una grafica radicalmente migliorata e una cadenza bisettimanale che portò la pubblicazione ad una tiratura di 500.000 copie nel momento in cui Hitler salì al potere.
Questo successo può essere ricondotto a quattro elementi principali:

  1. Enfatizzare gli interessi comuni dei lavoratori senza per questo limitare i contenuti alle sole linee ideologiche proposte dal Partito. Sebbene l’AIZ sia stato prodotto da funzionari del KPD, la vicinanza al partito non fu infatti mai centrale quanto invece lo furono gli interessi dei lavoratori, dei pensionati e dei disoccupati. Ovviamente nella rivista c’erano inviti a votare il KPD nelle tornate elettorali, ma l’intero concetto del giornale si basava sulle richieste avanzate dalla classe operaia. Questo orientamento libertario fece percepire il giornale come un’organizzazione apartitica permettendo così all’AIZ di raggiungere molti lavoratori socialdemocratici e addirittura apartitici.
  2. Grande attenzione alla scelta delle tematiche da affrontare. Come sottolinea Gabriele Ricke, autore di uno studio sulla rivista, riassume: «L’AIZ non era un giornale politico in senso stretto: cercava di sensibilizzare i propri lettori sull’importanza di riflettere sulle criticità della società tedesca del tempo. Differentemente agli altri giornali di area comunista, l’AIZ non si è mai rifiutato di sottolineare l’importanza anche di aspetti considerati minori come gli interessi apparentemente non politici dei lettori» (4). Sul giornale sono apparse regolarmente pagine riguardanti lo sport, la cultura di massa nonché un inserto interamente dedicato ai bambini sempre però – e qui sta il valore aggiunto di questo approccio editoriale – mantenendo uno specifico e chiaro punto di vista operaio.
  3. Grande cura all’aspetto grafico del giornale. Visivamente l’AIZ non aveva niente da invidiare alla ben più economicamente dotata stampa borghese. Basti pensare alle copertine con i fotomontaggi di John Heartfield, la cui collaborazione con la rivista inizia nel 1930 – i cui fotomontaggi attaccavano selvaggiamente sia il nazionalsocialismo che gli esponenti della Repubblica di Weimar, divenute negli anni uno dei più conosciuti marchi di fabbrica della rivista e ancora oggi sinonimo simbiosi fra arte e attivismo politico. Ma non sarebbe corretto limitarsi al solo Heartfiel visto anche il lavoro pionieristico che si riscontra soprattutto nel rapporto tra immagini e testi. Le foto, spesso scattate dai lettori stessi, erano immediate e evocative mentre l’editing che le accompagnava rappresentava al tempo un approccio altamente innovativo e moderno con il montaggio di testi e immagini che si è rivelato il metodo più idoneo a riassumere gli argomenti e a renderli molto più vicini alla realtà quotidiana dei lettori. Il tutto inserito fra reportage fotografici, reportage dall’estero, approfondimenti storici e poesie alternati in ogni numero facendo dell’AIZ un giornale pioniere e assolutamente unico nel panorama dell’epoca.
  4. Rapporto interattivo con i lettori. Il rapporto tra la redazione di AIZ e i suoi lettori è stato forse il punto più originale del giornale. Questi ultimi non erano solo considerati consumatori, ma erano coinvolti direttamente nelle varie fasi di creazione della rivista. Questo avveniva su due livelli. Da un lato, la redazione dell’AIZ si è inventata la figura del reporter-lavoratore, una sorta di figura antesignana di quello che oggi viene definito Citizen Journalism in cui i lettori venivano incoraggiati a tenere d’occhio il loro quartiere, la loro fabbrica e il loro posto di lavoro e a fotografare e segnalare tutti gli abusi che eventualmente venivano messi in atto. In questo modo l’AIZ riuscì a crearsi una rete di circa 3.500 giornalisti-lavoratori. Il fotogiornalismo, tratto tipico della prima parte della storia della rivista, era spesso estremamente provocatorio e si componeva prevalentemente di fotografie che rappresentavano il mondo del lavoro (Arbeiterphotographen) ad opera come detto, soprattutto di fotografi dilettanti.
    D’altra parte, la redazione mise al centro del progetto editoriale del giornale anche i propri distributori, aspetto questo che contribuì in modo significativo al rapido aumento delle tirature. Sulla rivista si parlava infatti dell’attività dei rivenditori, un questo del tutto differente dall’anonimato con cui la stampa borghese gestiva il proprio processo distributivo.

 

 

L’eredità dell’AIZ
Come credo sia evidente da quanto scritto, negli anni la rivista riuscì a sviluppare un rapporto speciale con i propri lettori come è evidente anche dalla Lettera ai lettori, un inserto speciale pubblicato in occasione del decimo anniversario della rivista in cui si leggeva: «Grazie ai tuoi suggerimenti e al tuo instancabile lavoro, festeggiamo il decimo anniversario della nostra AIZ. Dieci anni di Arbeiter-Illustrated, un pezzo di storia della classe proletaria. Ciò significa lotta e vigilanza. Ciò significa cooperazione per la grande causa dell’umanità liberata. Ogni settimana, milioni di persone che lavorano sodo acquistano la loro copia di AIZ, che, anche e soprattutto nel suo secondo decennio di vita, si pone lo scopo di portare ai suoi lettori ancora più coraggio e chiarezza che mai. E per questo abbiamo bisogno di te. Tu, il milite ignoto della lotta di classe del proletariato. Tu, l’uomo della fabbrica, l’operaio al telaio, il contadino dietro l’aratro, l’impiegato davanti alla macchina da scrivere, la massaia nel caseggiato. Perché il mezzo milione di copie che spediamo ogni settimana oggi deve diventare presto un milione.»
Ma la storia aveva altri programmi, questi sicuramente più simili al resto della produzione editoriale comunista o comunque contraria al regime nazista che nel frattempo aveva preso il potere e cominciato la sua opera di repressione delle libertà.
L’ultimo numero pubblicato a Berlino era datato 5 marzo 1933, circa due mesi dopo il giuramento come Cancelliere nella camera del Reichstag da parte di Adolf Hitler che costrinse la redazione di AIZ a trasferirsi in esilio a Praga. Nella nuova sede, situata in un contesto culturale e politico completamente alieno rispetto a quello tedesco, la tiratura  subì un tracollo delle vendite che scesero fino a sole 12.000 ed a nulla valsero i numerosi tentativi di riuscire a far arrivare e distribuire clandestinamente la rivista anche in Germania.
Sotto la guida del caporedattore Franz Carl Weiskopf, nel 1936 la rivista fu ribattezzata Die Volks Illustrierte ma quando i nazisti invasero la Cecoslovacchia, la rivista si vide nuovamente costretta a fuggire cercando una destinazione più sicura. Fu per queste ragioni di sopravvivenza che nel 1938 ritroviamo la redazione riunita a Parigi da dove verranno pubblicati almeno gli ultimi quattro numeri prima della sua definitiva chiusura dovuta anche al conflitto che interessava adesso pure la Francia e che la vide capitolare di fronte all’occupazione nazista il 25 giugno 1940.

 

 

Nel 2011 il Museo Reina Sofía ha organizzato a Madrid una mostra dal titolo A Hard, Merciless Light. The Worker-Photography Movement, 1926-1939 che ha riportato alla luce e presentato materiale sulla storia della fotografia sociale amatoriale anche tedesca. La mostra comprendeva molti numeri dell’AIZ, oltre al lavoro di fotografi dilettanti di altre riviste e giornali operai in circolazione tra il 1926 e il 1939 in Europa, Unione Sovietica e Stati Uniti.
Sebbene come detto l’Arbeiter-Illustrierte Zeitung abbia continuato ad apparire sia pure dal suo esilio, non poteva sviluppare la stessa efficacia di prima restando distante dal suo popolo di lettori.
Naturalmente, ci sarebbero anche alcune critiche da muovere nei confronti dell’AIZ. La stalinizzazione subita dal KPD da parte dell’Unione Sovietica non ha lasciato intatto nemmeno l’AIZ portando al generale silenziamento di qualsiasi discussione interna. Inoltre, sempre nella seconda fase della sua storia, l’AIZ ha abbracciato il nascente culto della personalità che ha circondato Stalin e il presidente del KPD Ernst Thälmann.
Detto questo è pur vero che la sinistra di oggi – se e in che forma essa possa ancora essere definita tale – può ancora imparare molto dall’esperienza dell’Arbeiter-Illustrierte Zeitung.
Con questo contributo speriamo almeno di aver riportato a galla una storia editoriale la cui eredità politica e giornalistica attende ancora di essere riscoperta in Italia, ma anche in Germania.

 

 

 


 

  1. Per egemonia culturale Antonio Gramsci intende le varie forme di dominio culturale e/o di direzione intellettuale e morale da parte di un gruppo o di una classe che sia in grado di imporre ad altri gruppi, attraverso pratiche quotidiane e credenze condivise, i propri punti di vista fino alla loro interiorizzazione, creando i presupposti per un complesso sistema di controllo.
  2. Eumann, Ulrich, Eigenwillige Kohorten der Revolution. Zur regionalen Sozialgeschichte des Kommunismus in der Weimarer Republik, Frankfurt a.M. 2007, pg.210.
  3. Willmann, Heinz, Geschichte der Arbeiter-Illustrierten Zeitung 1921-1938, Ostberlin, 1974, pg.7.
  4. Ricke, Gabriele, Die Arbeiter-Illustrierte-Zeitung. Gegenmodell zur bürgerlichen Illustrierten, Hannover, 1974, pg.71