Ho deciso di rileggere Fahrenheit 451 con mio figlio maggiore la scorsa settimana. Non credo di aver più letto questo classico testo di Ray Bradbury dai tempi del liceo anche se ho visto negli anni la trasposizione cinematografica di François Truffaut del 1966. Ciò che ricordavo del libro era che descriveva un mondo in cui i libri erano vietati e il compito dei vigili del fuoco era quello di rintracciare i libri e bruciarli.
Scritto nel 1953, ricordavo anche che era una risposta al panico dilagante dell’era McCarthy e ai roghi di libri nella Germania nazista. Ricordo di essere rimasta inorridita nell’apprendere che il rogo dei libri esisteva davvero e non era una sola invenzione cinematografica. Da quel momento, anche se sono passati oramai più di trenta anni, tratto ancora i libri come oggetti preziosi.
Ciò che avevo dimenticato in questi ultimi decenni è che il libro è anche una storia che ruota tutta attorno agli schermi, descritti nel libro come parlor walls ovvero muri da salotto. Nel mondo distopico dipinto da Bradbury, gli schermi non sono un elemento che attrae, ma il sostituto di altre cose che sono intenzionalmente limitate e a prima vista innocue. Libri, poesia, opere teatrali e arti visive vengono piano piano soppresse in questo mondo da incubo dipinto da Bradbury perché invitano le persone a sentire, a pensare e quindi a farsi e fare delle domande; questo è il vero problema per chi intende mantenere un ordine soporifero ed omologante.
In un contesto del genere, gli schermi appaiono oramai come fattori necessari alle nostre esistenze, come un oppiaceo per le masse, destinati a pacificare e anestetizzare le persone. Non è un caso se i bambini quando guardano i schermi, persi nelle loro avventure da gamer, non facciano alcuna domanda. In altre parole, la cattiveria non appartiene agli schermi, ma è la configurazione sociale, l’ordine che ci siamo dati, che ha reso gli schermi lo sbocco sociale, la fonte di intrattenimento e interattività dominante.
Interessante è anche il modo in cui vengono narrati in questo testo i tessuti sociali che compongono le nostre società. Il personaggio principale, un pompiere di nome Guy Montag, è sposato con Mildred, elegante signora che è solita trascorrere le sue giornate interagendo con la sua “famiglia allargata” proprio dalle pareti di questi salotti in quello che è un vero e proprio flusso costante di chiacchiere senza un apparente senso e su nulla in particolare. Parlare di qualcosa che ha un senso è infatti proibito visto che l’obiettivo dell’intera organizzazione di questa società è quello non scontentare mai nessuno, basta essere apparentemente gentili e tutto scorre liscio. Di questa “famiglia allargata” fanno parte vari vicini di casa – presumibilmente amici – ma anche celebrità la cui funzione è proprio quella di essere sempre a disposizione di tutti. In particolare, Montag paga un costo extra per far sì che queste celebrità si rivolgano direttamente a Mildred e non ad una generica signora, customizzando in questo modo la comunicazione esattamente su di lei, rivolgendosi con il suo nome in modo personalizzato affinché la signora avverta una maggiore connessione con la celebrità di turbo. Ecco la distopica socialità e una preveggente funzionalità degli algoritmi così come immaginati negli anni Cinquanta dalla mente di Bradbury. Un fatto interessante è notare come, proprio una società di questo tipo non sia assolutamente dedita al trolling che invece nella nostra realtà è oramai fenomeno oltremodo diffuso e pervasivo dei nuovi media.
Avevo anche completamente dimenticato come questo libro prende in considerazione la figura del bambino. In breve, i bambini vengono trattati con totale disprezzo, come un problema che la società deve gestire. Tale approccio a mio avviso riflette un atteggiamento abbastanza diffuso negli anni Cinquanta, dove i bambini erano visti come un pericolo da gestire piuttosto che come la parte di popolazione più vulnerabile e quindi che ha bisogno di maggior sostegno. Il testo di Bradbury ci evidenzia chiaramente il cambiamento avvenuto, quando cioè siamo passati dall’avere paura DEI bambini, all’avere paura PER i bambini. E così, nel mondo di distopico di Fahrenheit 451, ecco che i bambini sono collegati – esattamente come la madre – agli schermi per tutto il giorno con un chiaro beneficio non tanto per loro stessi quanto per la tranquillità degli adulti. (Nota a margine: non si deve dimenticare che – non a caso – l’istituzione della scuola superiore obbligatoria è stata inaugurata solo pochi decenni prima proprio come infrastruttura carceraria che tutelasse gli adulti e la loro dignitosa moralità).
Altro elemento su cui non avevo mai posto la dovuta attenzione il ruolo dei farmaci, assai intrigante e antesignano di ciò che anche in questo caso, sarebbe accaduto decenni dopo. Mildred è infatti totalmente dipendente dai sonniferi, di cui ha bisogno per interrompere il flusso di comunicazione degli schermi almeno durante la notte. Assumere senza sosta tali sonniferi però porta ovviamente a effetti collaterali che cancellano i ricordi aumentando lo stato di semi catalessi in cui le persone sono oramai abituate a vivere. Naturalmente, la scena di apertura del libro è incentrata sull’overdose di Mildred e sul suo non rendersi nemmeno conto della gravità di ciò che le sta accadendo. In effetti, i medici di questo mondo accettano di dover rianimare regolarmente le persone che hanno avuto un’overdose di sonniferi.
Tutto questo per dire che la trama di Fahrenheit 451 è incentrata sia sul tentativo di Montag di fare i conti con la censura, sia su come non riesca a strappare Mildred dal suo rapporto banale e malsano con il suo modo di vivere, anche quando è sull’orlo del baratro.
Si tratta di vedere gli schermi come il prodotto di scelte politiche malate, non come ciò che le guida. Non ho potuto fare a meno di rimanere affascinato da quanto questo sia invertito rispetto alla conversazione di oggi.
Negli ultimi due anni ho acquistato e letto intenzionalmente perché volevo rileggere Fahrenheit 451 in questi tempi in cui si avverte una triste recrudescenza della messa al bando di certi libri, ma in realtà rileggendolo, non ho potuto fare a meno di soffermarmi sull’intreccio tra paure e malattie che riguardano gli schermi e la repressione della conoscenza.
Quello che fa Montag con i vari personaggi con cui lavora, non è davvero battersi per la distruzione degli schermi, quella è la tattica che utilizzano per il vero fine, ovvero accogliere, salvare e condividere la conoscenza racchiusa nei libri ed è immediato pensare ad un’epoca in cui l’istruzione era vista come un percorso da seguire e salvaguardare e non semplicemente come un processo da controllare e, peggio ancora, limitare.
Le persone nel mondo di Bradbury non sono felici, sono zombi, ma Bradbury riconosce che sono così in quanto “strutturalmente configurati” in questo modo, un sottoprodotto di un mondo progettato per impedire di pensare, di connettersi, di fare domande e impegnarsi in un qualsiasi ideale. A fare da contro canto è lo stesso Bradbury a presentarci Clarisse – il suo figlio unico e l’unico personaggio attivamente disposto a sfidare lo status quo – che insegna a Montag come vedere il mondo in modo diverso. Come porre domande, come interagire con il mondo fisico, come non dare per scontata la configurazione sociale. Lo invita ad aprire gli occhi.
Il contrario di Clarisse è il capo di Montag, un personaggio che conosce chiaramente il come ed il perché la società è stata configurata in queste forme e riconosce che la messa al bando dei libri è uno stratagemma per il controllo politico. Non ha remore a rafforzare lo status quo e quindi il suo lavoro come pompiere è la metafora dell’intera pellicola, quella con il quale si intende reprimere la resistenza. I libri e gli schermi non sono il vero nemico di uno stato autoritario: il vero nemico è la conoscenza.
Fahrenheit 451 è senza dubbio una storia sulle pericolose conseguenze della messa al bando dei libri e della repressione della conoscenza., ma non solo, è anche un invito a vedere le condizioni strutturali che consentono e sostengono tale repressione. È facile voler combattere i sintomi, ma Bradbury ci invita a tenere ferma la nostra attenzione sul vero problema.
Grazie Ray Bradbury.
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