“La scrittura è la pittura della voce” era solito dire Voltaire, anche se l’autore del Candido o l’ottimismo certamente non conosceva l’opera di Roman Opałka che della scrittura ha fatto un gesto simbolico, una didascalia dell’esistenza, ma forse ancor di più, una sfida tutta personale con il tempo che passa inesorabile, ma quale é il significato di tempo che ha ossessionato Opałka per tutta la sua vita?
Per far luce su questa domanda e tentare di capire l’opera di Roman Opałka è necessario tornare alle radici del pensiero e del rapporto dell’uomo proprio con il tempo.
Una prima definizione che ci ha tramandato la filosofia antica è quella di tempo come “ordine misurabile del movimento”, un fenomeno che i greci concepivano come circolare, ciclico, un ripetersi costante e senza fine apparente che sarà superato solo nella tradizione cristiana in cui prevarrà invece una concezione lineare in cui il tempo è legato alla creazione del mondo e dunque con un inizio e una fine. È con Parmenide che il tempo comincia ad assumere quel senso problematico che lo caratterizza come questione filosofica in quanto esso viene contrapposto all’eternità e immutabilità dell’essere. Il testo in cui il problema del tempo viene affrontato per la prima volta in tutta la sua complessità è il Timeo di Platone dove viene definito come “l’immagine mobile dell’eternità”.
Gli antichi greci avevano già un concetto assai complesso di tempo, tanto da avvertire il bisogno di utilizzare quattro distinte parole per definirlo: Chronos per indicare la sua natura quantitativa, quindi il tempo cronologico e sequenziale; Kairos per indicarne la natura qualitativa e quindi soggettiva, indeterminata e indefinita. Un momento di un periodo di tempo indeterminato nel quale “qualcosa” di speciale accade. Aiòn in riferimento alla vita come durata, e Eniautos che stava ad indicare uno specifico anno. A quale di queste differenti identità si interessò Opałka quando iniziò a concepire OPALKA 1965/1-∞, opera per certi versi da considerare estrema con il quale l’artista francese ha votato la sua intera esistenza al tentativo di intrappolare lo scorrere proprio del tempo?


Roman Opalka ha scritto i numeri da 1 a 5.607.249 Dipingendo numeri per 40 anni

Nato il 27 agosto del 1931, l’artista di origine polacca Roman Opałka si trasferisce a Varsavia insieme alla famiglia nel 1946 dove studia presso l’Academy of Fine Arts. Prima di tornare in Francia, nel suo studio di Varsavia inaugura nel 1965 OPALKA 1965/1-∞, un progetto artistico basato su di un processo creativo e su una concezione del tempo tanto affascinante quanto misterioso. OPALKA 1965/1-∞ consiste infatti nel dipingere con il pennello a punta fine di colore bianco su tele di dimensioni sempre uguali (196×135 cm) una numerazione progressiva crescente di numeri interi a partire dal numero 1 fino (idealmente) all’infinito. Alla superficie utilizzata come sfondo, inizialmente nera, viene aggiunto nel 1972 – dopo aver dipinto il primo milione – un centesimo di bianco a ogni nuova tela così che, con il fluire dei giorni, si abbia l’impressione che i numeri, scritti dall’angolo in alto a sinistra verso destra, si confondano a poco a poco con il chiarore della tela. Terminato ogni quadro, ognuno intitolato Détail, la numerazione prosegue su un’altra tela dello stesso formato che coincide con la dimensione della porta del suo studio. Opałka segue metodicamente il programma giorno dopo giorno, fino a quando il sopraggiungere della morte necessariamente ne interrompe il lavoro, lasciando l’ultimo quadro non finito.





Facendo un passo indietro, sempre nel 1972 Opałka introduce una ulteriore variante al suo rituale: ogni sera, a fine lavoro, scatta un autoritratto fotografico in bianco e nero – sempre alla stessa distanza dall’obiettivo, nella stessa posizione, per quanto possibile, con la stessa espressione – e un registratore fissa la sua voce mentre pronuncia i numeri dipinti.
Al progressivo sbiadire delle tele – per la quantità sempre maggiore di bianco posto sullo sfondo – corrisponde lo sbiadire di un volto scavato e logorato dalla vecchiaia. Sguardo fisso, frontale, inespressivo, quasi come fosse una serie di sacre sculture che intende combattere una battaglia ideale con il tempo al fine di definirlo e racchiuderlo in un supporto fisico e dentro un perimetro che lo mostri per quello che realmente è. E se la decisione di fotografare il suo volto nacque – come lui stesso dichiarò – “dall’imperiosa necessità di non perdere nulla nel carpire il tempo”, lo stesso vale anche per i disegni scritti a penna con inchiostro nero su carta, che pur cambiando medium e tecnica, rimangono fedeli alla sola e fondamentale urgenza di Opalka, quella di rendere dinamico l’istante, offrendo uno specchio in cui tentare di scrutare l’infinito.

Roman Opałka ha dedicato la sua vita ad una sfida, una sola e già presupponendone la sconfitta, il tentativo di rappresentare qualcosa che non è rappresentabile – lo scorrere del tempo – riuscendo a restituirne una forma visiva attraverso il numero, scelto dall’artista quale elemento visivo di base per la costruzione di una sequenza continua e potenzialmente infinita, una sequenza che da un certo punto in poi è coincisa con la sua stessa esistenza.

«Tremando per la tensione davanti alla follia di una simile impresa, immergevo il pennello in un vasetto e, sollevando leggermente il braccio, lasciavo il primo segno, 1, in alto a sinistra, all’estremità della tela, perché non rimanesse nessuno spazio fuori dall’unica struttura logica che mi ero dato»

Così l’artista polacco Roman Opalka commentava l’incipit del suo progetto creativo – un progetto durato tutta la vita – interrotto il 6 agosto 2011, perché il dio Crono, con cui l’artista aveva ingaggiato una vera e propria sfida, ha avuto come previsto anche dallo stesso artista, il definitivo sopravvento.


Roman Opałka
Natalie Darbellay/Sygma / Corbis