Dal 1969 ad oggi molti sono stati i progetti editoriali dedicati al movimento riconducibile alla cosiddetta sinistra extraparlamentare italiana denominata Lotta Continua, parte della scissione in seno al Movimento Studentesco di Torino che aveva infiammato l’estate delle lotte all’Università e alla FIAT, l’altra parte si costituì in Potere Operaio, con base nel nord-est e successivamente nella cosiddetta Autonomia.
Solo per mio puntiglio, segnalo un testo degno di nota a proposito del periodo di cui sopra, il ricco ed interessante volume di Jacopo Galimberti edito da Verso dal titolo Images of Class: Operaismo, Autonomia and the Visual Arts (1962-1988).
Senza per forza ripercorrere l’intera sterminata bibliografia sull’argomento, che alla luce del panorama culturale e soprattutto politico odierno appare (ahimé) del tutto sproporzionata, mi piace segnalare un progetto proveniente da quella fucina di idee che prende il nome di Press Press, un interessantissimo progetto che nasce all’interno del milanese Spazio Florida, in Via Angelo Zanardini nel 2018. Uno spazio che si occupa oltre che di tecniche di stampa artigianali: dalla serigrafia alla risograph, della consulenza per la progettazione grafica, fino al prodotto finito.
L’ultima fatica sfornata dal gruppo di Press Press è proprio un prezioso libro di 175 pagine stampate in un piccolo formato 14X20 cm con un elegante risograph bianco e nero dal titolo Lotta Continua – Anni (ri)belli, disponibile da qualche settimana sul sito in sole 250 copie numerate.
Il volume – come specificato nell’introduzione, “a circolazione interna da accarezzare e sfogliare” – è un prodotto artigianale che si pone a metà fra libro d’artista e catalogo fotografico.

“Il termine bipartisan era al massimo un’inflessione dialettale”.

Fin dalle prime parole dell’introduzione viene specificato come il contesto sia quello in cui negli anni Settanta si muovevano i giovani aderenti a Lotta Continua nelle varie sedi Emiliane soprattutto di Bologna dal 1969 al 1976, un ecosistema fatto di cineforum, case del popolo, dibattiti, riunioni e tanta politica che al tempo era sinonimo di passione e urgenza. Utilizzo questo termine – urgenza – perché mi pare il più calzante per descrivere le immagini recuperate da alcuni testimoni diretti, che si susseguono nel libro senza intermezzi, didascalie o altro che potrebbe rischiare di spostare l’attenzione del lettore lontano dai volti, gli asfalti, le braccia alzate elegantemente sgranate e sognanti. Urgenza perché è davvero come se non ci fosse stato tempo da perdere, come se non ci fosse stata alternativa a quell’andare avanti, fino in fondo, spesso a costi pesanti e drammatici ma traboccanti di vita vissuta.
Oltre alla parola urgenza, ce n’è un’altra che emerge sfogliando il libro. Le foto infatti ci rappresentano plasticamente il significato del termine esperienza. Un’esperienza vissuta davvero in prima persona – in totale dissonanza con il nostro presente vissuto in superficie, in cui tutto ci giunge attutito, filtrato da schermi e device di ogni tipo e forma. Un’esperienza in cui il proprio corpo invece accende e mette alla prova tutti i sensi scrivendo – si potrebbe dire scavando – per ognuno dei volti fotografati un capitolo che difficilmente potrà essere dimenticato proprio per il profondo solco lasciato all’interno di ognuno di loro.



“La gioventù è davvero una bella stagione, almeno “quella gioventù”, quella che ha fatto le cose, i cambiamenti, quando questi ti chiamavano a gran voce. Hai presente le sirene? Non abbiamo voluto resistere, hanno chiamato e siamo andati, e di corsa pure.”

Una stagione iconica quella degli anni Settanta. una stagione che ha prodotto immagini senza tempo, che parlano più di mille parole e che in queste pagine risplendono supportate al meglio da una veste grafica asciutta ma non per questo meno efficace.
Un stagione iconica dicevamo, che come ricordato nell’introduzione era fatta anche di esteriorità, di stili contrapposti con cui riconoscersi a prima vista. Se stavi con noi o contro di noi lo si capiva anche solo dal cappotto, dalle scarpe, dai capelli. Un’estetica decisa e anch’essa senza compromessi ben più rigida del liquame amorfo in cui sguazziamo oggi che, se da un lato sembra assicurarci una maggiore libertà di esteriorizzazione del sé, dall’altra rende tutto omologato, anonimo, silente e depresso.
Lontani però da ogni approccio melenso o peggio ancora nostalgico – dopotutto ogni stagione ha i suoi inverni e le proprie estati – verso una fase storica che nemmeno ho personalmente conosciuto, quello che ritengo doveroso sottolineare di questo bel libro di Press Press è la longevità che l’esperienza di Lotta Continua e più in generale di quel periodo così denso e drammatico continua ad esercitare sul contemporaneo che ha deciso, invece, di abbassare un silenzio assordante su ciò che è stato coprendolo con una generica quanto superficiale ed erronea definizione di “anni di piombo” se non addirittura cancellandolo dall’archivio della memoria. Dopo tutto già alla fine del Settecento, anche il pittore e incisore spagnolo Francisco Goya lo aveva intuito quando decise di intitolare una sua incisione “Il sonno della ragione genera mostri“.


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