Nell’era liquida del mondo digitale, dove le voci si perdono nel rumore di fondo e la verità si scontra con la propaganda, +972 Magazine si staglia come un’anomalia acuminata, una sorta di presidio di intelligenza critica e impegno civico nel contesto aspro e complesso del conflitto israelo-palestinese.
Fondata nell’arco di un’estate del 2010, questa rivista online si è ritagliata uno spazio non tanto per il suo successo di pubblico, quanto per l’audacia della sua scommessa:
raccontare la realtà dal basso, con uno sguardo che nega ogni netto spartiacque ideologico, ma che soprattutto si fa voce di una generazione che rifiuta i cliché e le narrazioni binarie.
L’atto fondativo di +972 è un gesto politico di resistenza culturale in un’area dove l’editoria tradizionale si è spesso piegata, o schierata, alle logiche di potere: quattro giornalisti israeliani – Lisa Goldman, Ami Kaufman, Dimi Reider, e Noam Sheizaf – si incontrano a Tel Aviv, inquieti per la rappresentazione distorta e parziale offerta dall’informazione mainstream internazionale sul conflitto. Il nome stesso della rivista, +972, è un potente simbolo di identità “complessa”, un prefisso telefonico che lega Israele e Palestina, svelando in un numero l’intreccio indissolubile delle vite, dei destini, e delle storie in terra contesa.
A differenza della stampa istituzionale israeliana o delle agenzie globali, +972 Magazine si configura fin dall’inizio come un laboratorio editoriale underground non perché sia un’organizzazione clandestina, ma perché si impone una visione mai ufficiale o corporativa.
Il progetto nasce da una rete orizzontale, quasi anarchica, in cui la gerarchia tradizionale lascia spazio a una collaborazione fluida, a una scrittura libera e partecipata che parte dal vissuto dei redattori e delle redattrici – israeliani, palestinesi, e anche membri della diaspora americana e canadese – loro stessi esposti nelle loro vite quotidiane al trauma, alla frustrazione e all’ingiustizia. Non ci sono censure interne, ma un ethos redazionale “unorthodox,” come ebbe a definirlo Sarah Wildman su The Nation. La rivista si dichiara come un “giornale fuori dal coro”, adottando un approccio che privilegia il dissenso, la narrazione dal basso e la denuncia delle ingiustizie, anche a costo di contraddire le narrative ufficiali o le aspettative dominanti. Questo modo di operare si traduce in un sistema privo di gerarchie rigide, dove i giornalisti sono liberi di scrivere e dissentire, spesso rischiando conseguenze sociali e politici. La loro posizione è quindi anche etica e politica: una scelta consapevole di rompere con le logiche convenzionali dell’informazione e di affrontare le difficoltà di essere voci di dissenso in un contesto travagliato e oppressivo.

La redazione di +972 magazine
I protagonisti di +972 non sono solo giornalisti; sono attivisti, testimoni, e in qualche misura vittime di ciò che raccontano. Il loro lavoro descrive l’occupazione militare israeliana come un nodo centralissimo nelle lotte per i diritti umani, ma va oltre, immergendosi nelle pieghe delle proteste di base, delle iniziative culturali, e delle strategie di resistenza nonviolenta che attraversano entrambe le comunità. È proprio questa capacità di trasformare la cronaca in un racconto umano, intriso di contraddizioni, dubbi, e tensioni interne, a distinguere +972 da qualsiasi altra testata: qui la politica si fa narrazione partecipata, un’operazione che decostruisce, rovescia i cliché, e si batte per un’informazione che possa essere strumento di trasformazione, non di dissimulazione o, peggio ancora, vera e propria propaganda.
+972 Magazine, per esempio, non si è limitata a raccontare l’esperienza recente della Global Sumud Flottiglia come un evento significativo, ma ha preso una posizione netta e inequivocabile contro il blocco marittimo imposto da Israele sulla Striscia di Gaza, definendolo illegale e illegittimo secondo il diritto internazionale.
La rivista si è schierata apertamente a fianco degli attivisti internazionali che, a bordo di circa cinquanta imbarcazioni da tutto il mondo, hanno cercato di rompere quel blocco, ostacolati e infine intercettati dalla Marina israeliana in acque internazionali.
+972 ha denunciato la detenzione dei membri della flottiglia come un rapimento, un’azione repressiva che viola i diritti umani fondamentali e mira a soffocare la solidarietà internazionale. La copertura giornalistica si è distinta per un’accurata documentazione delle violenze e delle intimidazioni subite, per dare voce agli attivisti e per smascherare la narrazione israeliana ufficiale che dipingeva l’operazione come un successo degli apparati di sicurezza interni. In questo modo, +972 ha incarnato perfettamente la funzione dell’editoria underground contemporanea: un giornalismo militante, schierato, che rischia e si batte perché l’informazione non venga diretta dal potere, offrendo una lettura critica e plurale della realtà.
Le tematiche che la rivista affronta sono tanto geografiche quanto esistenziali: dalla lotta contro lo sfratto dei palestinesi nei quartieri di Gerusalemme, alla critica degli abusi compiuti da gruppi fondamentalisti israeliani, passando per le rappresentazioni culturali e artistiche – teatro, cinema, musica – come forme di resistenza sotterranea, “underwater” come evocano i loro articoli, che riaffiorano a testimoniare un’umanità limitrofa alla violenza istituzionale. Le battaglie culturali non si limitano a raccontare fatti, ma cercano di creare un terreno dialogico e di coesistenza, spesso in ambienti sociali spaccati da tensioni e animosità che sembrano irreparabili.
+972 si distingue inoltre per il suo impatto internazionale. Scrivendo principalmente in inglese, la rivista si pone come ponte tra il discorso locale e la comunità globale, offrendo una contro-narrazione ai mass media tradizionali che tendono a veicolare versioni semplificate o schierate del conflitto. Questa scelta linguistica è già di per sé un atto culturale radicale, poiché implica prendersi la responsabilità di raccontare un territorio di oppressione e conflitto a un pubblico che spesso vede da lontano e quindi rischia di fraintendere i contenuti.
In questo senso, +972 inserisce con forza la sua esperienza nella storia più ampia dell’editoria underground, che non è mera opposizione al sistema ma una costruzione di spazi espressivi indipendenti e alternativi, capaci di portare al pubblico storie “altre” e spesso censurate.

Gaza City, agosto 2025
La rivista segue una tradizione che va dai samizdat sovietici ai giornali clandestini di resistenza durante i regimi autoritari, passando per le pubblicazioni dei movimenti controculturali degli anni Sessanta fino agli odierni blog e media alternativi, ma aggiunge una peculiarità: quella di operare in un contesto geopolitico fortemente militarizzato e polarizzato, dove l’informazione stessa è campo di battaglia e la penna una possibile arma di dissenso.
Il loro giornalismo, infine, non è mai neutrale: è una scelta radicale di schieramento dalla parte degli oppressi, una testimonianza della complessità della convivenza forzata.
un invito costante a ripensare la convivenza stessa, a decostruire i nazionalismi, le colonizzazioni culturali, e le ingiustizie strutturali. Attraverso una scrittura che è al contempo politica e letteraria, +972 diventa così un “altro luogo” della resistenza editoriale, un presidio che parla di libertà, di verità e di umanità in una delle realtà più difficili del nostro tempo.