Nel fulgido decennio tra il 1963 e il 1973, mentre l’onda lunga della controcultura si infrangeva sulle coste della California e oltre, un’icona automobilistica si elevò a simbolo incontrastato di libertà, ribellione e armonia con la natura: era la Ford Woody Wagon.



Lungi dall’essere un mero veicolo, la Woody divenne una vera e propria tela su ruote, un manifesto semovente per un’estetica underground che affondava le sue radici nella filosofia del surf. Ma perché proprio questa station wagon, apparentemente così “borghese” nel suo design originale, divenne l’emblema di uno stile di vita tanto anticonformista?
Il cuore del suo fascino risiedeva nelle sue caratteristiche di design, un mix inatteso di funzionalità e rustica eleganza. La carrozzeria, in particolare i suoi distintivi pannelli laterali in legno, era un richiamo nostalgico a un’epoca passata, quasi artigianale, che contrastava nettamente con l’omogeneità della produzione automobilistica di massa.
Sebbene il design originale fosse opera degli ingegneri Ford del periodo pre-bellico e vicino all’estetica dello Streamline, nel decennio sessanta la Woody che catturava l’immaginario dei surfisti era spesso una versione più anziana, acquisita a prezzi modici e sapientemente adattata.
Non esiste un singolo design a cui ricondurre l’invenzione della Woody; piuttosto, l’auto veniva personalizzata e plasmata dai suoi stessi proprietari. Il legno, spesso malconcio e vissuto, si fondeva perfettamente con l’estetica del surf, evocando tavole in mogano, capanne sulla spiaggia e un’esistenza semplice, in sintonia con gli elementi della natura. Era una dichiarazione visiva contro l’eccesso e il consumismo sfrenato, preferendo l’autenticità e la funzionalità all’ostentazione.
Il suo ampio spazio interno permetteva il trasporto agevole di tavole da surf e la possibilità di dormirci dentro la trasformava in un rifugio nomade, ideale per inseguire l’onda perfetta da una spiaggia all’altra o per passare notti brave in compagnia di amici e amiche.
La Woody si impose come un simbolo onnipresente nell’estetica controculturale, non solo sulle strade, ma anche sui media che davano voce a quel movimento. La si vedeva trionfante nelle pagine patinate di riviste come Surfer Magazine le cui copertine spesso immortalavano la Woody parcheggiata sulla sabbia, il portellone aperto che rivelava un paio di tavole o una chitarra acustica. Non si trattava di un’auto disegnata da un illustratore specifico per un pubblico alterinativo; piuttosto, furono gli illustratori e i fotografi dell’epoca a elevarla a icona, ritraendola come l’epitome dello spirito surf.
Nel cinema, la Woody divenne un personaggio silenzioso ma fondamentale in pellicole che definivano la cultura surf, come The Endless Summer (sebbene più incentrato sui viaggi e meno sulla singola auto, l’estetica del viaggio in auto è intrinseca) e in numerosi beach movies meno noti, dove faceva da sfondo a scene di amicizia, amore e avventura on the road. Il suo aspetto vissuto, la sua patina di autenticità, la rendevano la scelta naturale per raccontare storie di giovani che rifiutavano le convenzioni e cercavano la loro libertà lontano dalla vita borghese.

John Van Hamersveld

A differenza di altri simboli del periodo, come il Volkswagen Transporter (il “Bus VW”), anch’esso icona hippy e nomade, la Woody offriva una particolare sfumatura di underground. Il Bus VW, con le sue linee morbide e la sua vocazione intrinsecamente comunitaria, incarnava lo spirito del viaggio di gruppo, delle proteste, delle comunità alternative. La Woody, pur condividendo la praticità del trasporto, aveva un’eleganza più “rozza” e una connotazione più direttamente legata all’oceano, al legno, alla natura incontaminata. Era l’auto del surfista solitario o della piccola crew, meno del collettivo itinerante. Era un simbolo di libertà individuale, di un ritorno alle origini, ma con uno stile distintivo che la rendeva un’affermazione. Nonostante la sua bellezza intrinseca e la sua finitura in legno che oggi potremmo definire quasi lussuosa, la Woody era considerata “underground” non perché fosse difficile da trovare o costosissima, ma perché il suo fascino non risiedeva nell’opulenza o nella novità. Era una scelta controcorrente, un rifiuto del nuovo a favore del classico, del “fatto a mano” rispetto al prodotto industriale. Acquistarla e mantenerla richiedeva un certo spirito di adattamento, una manualità che si sposa bene con la filosofia DIY (Do It Yourself) della controcultura. Era l’auto di chi non seguiva le mode imposte, ma creava le proprie, con un occhio al passato e il cuore rivolto all’onda futura

La Ford Woody Wagon non era semplicemente un mezzo di trasporto; era un’estensione dell’anima ribelle e sognatrice della controcultura surf.

Era il rombo del motore che si mescolava al fruscio delle onde, il profumo del legno e della salsedine che permeavano l’abitacolo. Era la promessa di un’alba sulla spiaggia, di un tramonto infuocato sull’oceano, di una vita vissuta al ritmo delle maree. Era l’ultimo baluardo di un’eleganza selvaggia, un grido silente contro l’omologazione, un’ode alla libertà che ancora oggi risuona, un’eco nostalgica ma potente di un’epoca in cui la strada e il mare erano infinite possibilità, e l’auto, una Ford Woody Wagon, era la chiave per svelarle tutte.