L’apartheid è stato un periodo brutale nella storia del Sudafrica. Il regime totalitario di P.W. Botha, Primo ministro dal 1978 al 1984 e Presidente del Sudafrica dal 1984 al 1989, ha commesso crimini orribili contro l’umanità alla guida del partito Afrikanerdom e tutta la sua politica si è caratterizzata per il supporto alle pulsioni più divisive e retrograde della popolazione, non solo tra le comunità bianche e nere, ma anche tra le persone di lingua inglese e afrikaans. I termini Apartheid e Afrikanerdom erano praticamente intercambiabili al tempo e questo portò all’emergere di nuove forme di radicalità politica tuttora presente nella società sudafricana.
All’interno di un simile contesto, nacque Stet, una rivista creata da un gruppo di afrikaner che ha tentato di sostenere le ragioni e gli ideali della popolazione più progressista.
I contributor di Stet hanno sempre cercato di rivendicare la dignità di quelle voci dissenzienti che non erano d’accordo con l’apartheid andando incontro per questo a ritorsioni di vario titolo.
Stet è stata una pubblicazione di sinistra che faceva parte della stampa “di resistenza” sudafricana, dal forte taglio politico, aveva la propria sede alla periferia di Cape Town. Cercando con ostinazione di smontare dall’interno le rigide politiche del partito dell’Afrikanerdom, Stet è stato un importante fattore nella lunga storia riformatrice della lingua e della cultura afrikaans. Al tempo gli afrikaans erano emarginati e non avevano nessuna possibilità di esprimere il loro dissenso nei confronti dell’apartheid. Molti afrikaans, bianchi e neri, sapevano bene che la loro sarebbe stata una battaglia lunga e difficile e in una situazione del genere Stet ha avuto il merito di mettere a disposizione uno spazio libero e aperto, quello che prima avremmo definito un forum e che oggi chiamiamo piattaforma. Stet è stato infatti uno spazio politico e una rivista, un tempo si sarebbe detto, underground, nel senso classico del termine il cui nome deriva da un termine che nella lingua sudafricana significa “lascialo stare”.
Stet è stata un’importante rivista d’avanguardia negli anni Ottanta, decisiva nel suo tentativo di scardinare gli stereotipi razzisti nei confronti delle persone di lingua afrikaans e della loro cultura. Da sempre in netta contrapposizione con l’estremamente conservatrice narrativa afrikaner dominante, Stet si è posto sempre come un riferimento per le voci afrikaans anti-apartheid fino ad allora del tutto prive di spazi e occasioni di condivisione e confronto.
Percepito dall’Afrikanerdom come uno strumento di propaganda comunista, Stet rappresentava in realtà un punto di vista alternativo che riuscì a penetrare e farsi largo nel difficile contesto culturale del Sudafrica degli anni Ottanta che “consigliava” alle tipografie di non apporre la propria firma nella rivista per non incorrere in problemi o, peggio ancora, in ritorsioni.
Stampato in una tiratura limitata di 1.000 copie per ogni numero per circa un decennio – dal 1982 al 1992 – Stet era ideato e realizzato da Gerrit Olivier e Tienie du Plessis partendo dai riferimenti delle tradizioni letterarie sovversive europee e dalle relative pubblicazioni d’avanguardia di inizio secolo, in particolare quelle antifasciste come Merz e Dada.
La testata originale della rivista è stata creata utilizzando la calligrafia di Du Plessis e con la copertina del primo numero che intendeva rappresentare la disillusione che gli editori nutrivano nei confronti dell’Apartheid e, più in generale della situazione locale. Un pessimismo che però non ha mai intaccato il desiderio di provare a cambiare il corso degli avvenimenti come dimostra lo slogan “Teen Apartheid, teen sensuur” che significa “contro l’apartheid, contro la censura”, presente nella copertina del primo numero e in molti numeri come claim della rivista.
Il contenuto di Stet includeva articoli, lettere, racconti, poesie, fumetti, saggi fotografici e interviste. Alcuni autori hanno dovuto pubblicare i loro testi usando pseudonimi a causa dei pericoli legati all’essere voci critiche che mostravano pubblicamente il dissenso nei confronti di quella che per. molti era una vera e propria dittatura.
La maggior parte dei contenuti era scritto in afrikaans, anche se i contributi provenienti dall’estero, in particolar modo da Inghilterra e Paesi bassi, venivano mantenuti nella lingua originale. In generale, oltre ai contributors irregolari, la redazione contava su nomi quali. Peter Clarke, Njabulo Ndebele, Leonard Koza e Leonard Mkhabela.
L’importanza di Stet iniziò a diminuire all’inizio degli anni Novanta quando il potere del regime volgeva al termine. Il Sud Africa stava cambiando, era l’alba di quello che sarebbe stato definito “Nuovo Sud Africa” e probabilmente i movimenti di resistenza avevano perso la loro spinta e le loro motivazioni iniziali avendo completato la loro missione.
Inoltre, grande classico di tutta l’editoria che si pone in opposizione al mainstream, anche per Stet, da sempre un progetto autofinanziato, il denaro era un problema.
Du Plessis avrebbe di li a poco fondato la HOND, una casa editrice che negli anni ha pubblicato i primi numeri di Bitterkomix. Stet è stato in effetti un trampolino di lancio per Anton Kannemeyer e Conrad Botes, poiché ha pubblicato alcuni dei primi esperimenti di Bitterkomix, leggendaria rivista sudafricana di fumetti underground fondata nel 1992 da Joe Dog, Konradski e Lorcan White, anch’essa sempre provocatoriamente schierata contro l’apartheid.
Da questo punto di vista, l’esperienza di Stet fu un’avanguardia che pubblicò per la prima volta autori allora sconosciuti come André P. Brink, Breyten Breytenbach, Antjie Krog, Ivan Vladislavic e Jeremy Cronin. Inoltre, la storia di Stet si inserisce in quella che possiamo definire la tradizione editoriale underground sudafricana che in precedenza aveva visto riviste quali Wurm (1966–1970), Izwi (1971–1974), Spado (1980–1981), Graffier (1980–1983) e Taaldoos (1980–1981).
La natura oppositiva e alternativa emerge non solo nei contenuti ma anche e soprattutto dall’estetica della rivista, dalle copertine agli interni, realizzate spesso con collage di immagini e testi con un occhio da un lato rivolto alle avanguardie storiche quali Futurismo e Dada e, dall’altro, verso le teorie di Roland Barthes sulla è semiotica sociale.
Non esistono confini o limiti ai prodotti editoriali indipendenti, questi nascono infatti dove il terreno è più fertile,, dove cioè le ingiustizie si fanno insopportabili ed il desiderio di mostrare la propria opposizione si fa irrinunciabile.