Nell’infinito scrolling quotidiano ecco che mi imbatto in questo breve video dove viene mostrato un libro pop up.
Innanzi tutto, cosa sono i libri pop up?
Dall’inglese «apparire», questi prodotti editoriali fanno la loro comparsa, almeno stando alla storiografia, nel 1932, data della pubblicazione del primo Pinocchio in questa veste, prima di allora – almeno in Italia – erano conosciuti come libri animati o libri «tridimensionali». Si tratta di manufatti perlopiù cartacei la cui origine risale addirittura al Medioevo quando si credeva possedessero finalità divinatorie. La loro diffusione però avviene successivamente quando si intuisce la loro utilità come strumenti didattici per l’esercizio della memoria o per la riproduzione di complesse forme geometriche. A questo proposito si narra che anche Cartesio fosse un cultore dei libri pop up con i quali riproduceva nella pratica i modelli teorici che aiutavano i suoi studi di geometria, matematica e fisica.
Dal 1900 grande fortuna arriva anche dal nuovo utilizzo come oggetto ludico per bambini. Come ci ricorda Wikipedia infatti, i libri pop up includono «dispositivi meccanici o paratestuali che richiedono e sollecitano l’interazione manuale del lettore», aspetto questo su cui tornerò in seguito.
Tra i più conosciuti autori di libri pop up ricordo Vojtêch Kubata, che nel diciannovesimo secolo univa nelle sue creazioni illustrazioni e costruzioni cartotecniche. Altro nome é l’illustratore tedesco Lothar Meggendorfer, uno dei primi disegnatori di cartoni animati.
La «magia» che accompagna i libri pop up, con le loro infinite sorprese, le loro continue suggestioni e stimoli, incanta a ogni pagina e libera la fantasia. Il loro potere di lasciare spazio all’immaginazione va ben oltre i confini delineati della narrazione del testo utilizzando la materialità dell’oggetto per ricercare una più ampia collaborazione con il lettore/fruitore.
Guardando l’esempio del video molte sono le suggestioni e i riferimenti a cui poter dare seguito, due soprattutto mi paiono interessanti: l’opera Etant donnés di Marcel Duchamp e i concetti più o meno contemporanei di realtà virtuale che portano dritti dritti al Metaverso.
Per l’opera di Duchamp la connessione risulta evidente dal processo stesso della scoperta di mondi dischiusi attraverso una punto di passaggio, in questo caso gli spioncini utilizzati in entrambi i casi. Una scoperta spesso assimilata al gusto tipico del voyeurismo insito nel nascondere, nel lasciar scoprire piano piano, quasi a fatica, una visione che alla fine, risulta tanto necessaria quanto gustosa.
L’altro riferimento è invece a quella che genericamente definiamo realtà virtuale, di cui il Metaverso è solo l’ultima delle declinazioni. L’uomo è da sempre affascinato da ambienti immersivi «altri» la cui ricerca è avvenuta nel corso dei secoli nelle forme e nei modi più disparati. Forzando un po’ i termini del discorso, potremmo sostenere che anche tutta l’Arte Psichedelica, e prima ancora il Surrealismo, sono entrambi forme di tale ricerca e, più di recente anche tutta l’estetica generata dalla Artificial Intelligence tramite piattaforme come DALL-E o di Midjourney. Penso in questo caso anche a rappresentazioni alternative non proprio edulcorate della realtà come dimostrano, ultimi in ordine di tempo, i casi di Loab, figura dai tratti umani ma essenzialmente aliena che tanto ha fatto discutere nelle ultime settimane il mondo del Web oppure il fenomeno delle cosiddette Backrooms, veri e propri spazi virtuali che rimandano all’estetica cursed di piattaforme come Tumbrl prima e 4chan e Reddit dopo.
In tutti questi casi, quello che possiamo individuare come il tratto comune che prescinde dai linguaggi e strumenti di volta in volta utilizzati, è ciò che parlando con un’amica, ho definito come una sorta di insoddisfazione insita nell’essere umano nei confronti dei contesti in cui si trova costretto a vivere: «la realtà non ci basta e non ci basterà mai, da qua nascono le nostre gioie e i nostri dolori». Sta forse in questa banale constatazione, dopotutto, quell’incredibile fascinazione a cui tutti noi, di qualsiasi epoca e luogo, siamo soggetti; spettatori ammirati e ammaliati che scopriamo scenari a cui non sappiamo e sapremo mai resistere.