Una volta, il grande George Orwell, ricordando il suo tempo trascorso dietro il lavandino a Parigi, scrisse:
Questo lavare i piatti è stato un lavoro assolutamente odioso: non difficile, ma noioso e sciocco oltre ogni descrizione. È terribile pensare che alcune persone trascorrano interi decenni svolgendo tali occupazioni.
Ecco, la storia editoriale che vi voglio raccontare oggi è quella di Dishwasher Pete, pseudonimo dell’americano Pete Jordan, autore della popolare zine Dishwasher e dell’omonimo libro.
Come recita il titolo – in italiano traducibile con Lavapiatti – l’obiettivo della fanzine era tanto improbabile quanto assurdo e consisteva per lo stesso Pete, nello spostarsi continuamente per lavare i piatti in ognuno dei 50 stati degli Stati Uniti d’America seguendo l’esempio indicato decenni prima dal suo idolo George Orwell nella Parigi di inizio Novecento quando, in uno stato di povertà assoluta, troviamo Orwell alla disperata ricerca di un lavoro che lo porta nei peggiori bassifondi di Parigi proprio a lavare i piatti nelle bettole di periferia.
Per più di un decennio quindi, precisamente dal 1989 al 2001, Pete ha tentato di ricalcare le gesta del suo mito trasferendosi senza sosta di città in città, di stato in stato, lavando i piatti in ogni contesto lo accogliesse. Ristoranti, ospedali, caffetterie, stazioni sciistiche, ma anche una piattaforma petrolifera situata in mare aperto, un treno ristorante… dovunque ci fossero dei piatti sporchi, ecco arrivare Dishwasher Pete ad aggiungere una tappa al suo folle progetto.
La fanzine alla base di questa idea è appunto Dishwasher, che con i suoi 15 numeri totali, negli anni è riuscita ad attirare una foltissima legione di fan e uno status quasi leggendario nel mondo delle fanzine, di per sé già notevolmente imprevedibile e assurdo. Il giovane Pete costruiva i vari numeri della zine con storie dei suoi lavori da lavapiatti, da fumetti sul lavaggio dei piatti alle citazioni letterarie – che ovviamente avevano a che fare con il lavare i piatti – integrati da foto, testi e riflessioni personali sul tema dello sfruttamento tipico di certi lavori. Nella sua zine, Dishwasher Pete ha rivelato in questo modo la vita segreta nascosta dietro alle giornate dei lavapiatti professionisti e ha descritto i molteplici contesti in cui si svolgevano le sue serate nelle cucine dei ristoranti americani insieme agli altri protagonisti come camerieri, cuochi e appunto lavastoviglie.
Il lavapiatti Pete si guadagnò una riluttante ammirazione per il suo rifiuto di accettare qualsiasi “promozione” da lavapiatti a cuoco. Sapeva cosa voleva fare nella vita e ci è rimasto fedele. E non aveva fretta di lavare i piatti in tutti i cinquanta stati.
La perzine – ovvero quella sottocategoria di fanzine dove il per significa personale – ha portato un notevole successo al suo autore, tanto da consentirgli addirittura di pubblicare nel 2007 il libro tratto dai resoconti scritti per la fanzine intitolato Dishwasher: One Man’s Quest to Wash Dishes in All Fifty States.
Un numero della zine è uscito addirittura accompagnato da una compilation musicale stampata su un vinile da 7 pollici chiamata Music to Wash Dishes By. Il disco, pubblicato nel 1982 dalla Reno’s 702 Records, contiene quattro canzoni inedite di band quali Queers, Hi-Fives, Scared of Chaka e Ten-Four, tutte fan della zine che si misurarono con la scrittura di brani che avevano – guarda caso – come tema centrale il lavaggio dei piatti.
Proprio grazie alla vasta fama raggiunta, il giovane Pete, di cui però non si avevano molte notizie e soprattutto non si conosceva l’aspetto a causa della ritrosia dello stesso a mostrarsi e ad aprire le comunicazioni al mondo dei media mainstream, è stato invitato ad apparire il 27 giugno 1995 al noto spettacolo TV Late Show di David Letterman. Intendendo però mantenere la propria riservatezza, Pete decide all’insaputa del conduttore di trovare un escamotage davvero interessante per non apparire sulla televisione nazionale, un qualcosa poi ripreso anche da altre figure soprattutto nel mondo dell’arte e delle avanguardie, pensiamo solo per esempio a Maurizio Cattelan. Pete sostituisce cioè la propria immagine con quella di un’altra persona, per la precisione il suo vecchio amico Jess Hilliard che si è presentato come il vero Pete facendo abboccare in questo modo tutti i mezzi di comunicazione che non notarono nessuna stranezza.
I quindici numeri della rivista Dishwasher sono ormai esauriti da anni così come il viaggio di Pete, interrotto dopo ben 33 stati quando ha incontrato e si è innamorato di quella che sarebbe poi divenuta la sua futura moglie.
Il lavapiatti Pete si è anche offerto volontario come cavia umana negli esperimenti farmacologici e ha contribuito con articoli alla zine Guinea Pig Zero: A Journal for Human Research topics.
Nel 2002 Pete si trasferì ad Amsterdam, dove rimase affascinato dalla cultura e dalla storia di questa città di ciclisti. Questa è la base per il suo secondo libro: In the City of Bikes: The Story of the Amsterdam Cyclist (Harper Perennial, 2013).