Il “Cholo Style” è molto più di una semplice moda; è un sistema estetico complesso, un linguaggio visivo e corporeo stratificato che affonda le sue radici nella storia, nella marginalizzazione e nella resilienza delle comunità Chicano negli Stati Uniti. L’analisi di questo fenomeno non può limitarsi alla superficie dei capi di abbigliamento o dei tatuaggi, ma deve addentrarsi nei meccanismi attraverso cui il cholo style ha dato forma a una vera e propria arte, un’espressione grafica intrinsecamente legata all’identità, al territorio e a una narrazione contro-culturale.
Dalle vie di Los Angeles all’arte sulla pelle e sui muri
Per comprendere appieno il cholo style, è indispensabile contestualizzarlo. Nato nelle comunità messicano-americane della California, in particolare a Los Angeles, a partire dagli anni ’40 e sviluppatosi in modo più riconoscibile dagli anni ’60 e ’70, il fenomeno è indissolubilmente legato alla formazione delle pachucas e dei pachucos. Questi ultimi erano membri di una sottocultura giovanile messicano-americana emersa prevalentemente in California tra gli anni ’30 e ’40. Erano noti per il loro stile distintivo, in particolare gli uomini per gli elaborati zoot suits – abiti ampi con giacche lunghe e pantaloni a vita alta stretti alle caviglie – e le donne per un look altrettanto audace, con acconciature elaborate e trucco marcato. Attraverso questo stile, sfidavano le norme sociali e razziali dell’epoca, affermando un’identità distinta e spesso percepita come minacciosa dalla società dominante. I cholos contemporanei sono in qualche modo eredi di questa linea di resistenza, seppur con evoluzioni e adattazioni significativi. La parola “cholo” stessa, di origine incerta ma spesso usata in senso dispregiativo per indicare persone di sangue misto o indigeno, è stata riappropriata e rivendicata come un simbolo di orgoglio e appartenenza.
Le gangs di Los Angeles, spesso nate come meccanismi di protezione in quartieri poveri e ghettizzati, hanno giocato un ruolo cruciale nella cristallizzazione di questa estetica. In un ambiente dove le opportunità erano scarse e la discriminazione palpabile, il cholo style è emerso come un marcatore di identità, un segnale visivo di appartenenza a un gruppo, ma anche di distinzione e auto-affermazione. Non era (e non è) solo una questione di moda, ma una codificazione semiotica del proprio essere nel mondo.

L’Alfabeto visivo del Cholo style
Il cuore del cholo style, soprattutto per un’analisi che miri ai risvolti grafici e artistici, risiede nella sua meticolosa attenzione ai dettagli e alla personalizzazione. Sebbene esistano archetipi ben definiti, ogni elemento è calibrato per comunicare qualcosa di specifico.
Partiamo dall’abbigliamento. La classica flanella a quadri (spesso chiamata plaid shirt) abbottonata fino al collo, i pantaloni kaki o jeans ampi e stirati con una piega perfetta, le calze tirate su e le sneakers pulitissime (spesso Cortez o Chuck Taylor) non sono scelte casuali. La flanella, per esempio, non è solo un indumento pratico, ma la sua vestibilità ampia permette di celare e al contempo definire la silhouette, mentre i colori e i pattern specifici possono indicare affiliazione o preferenze. I pantaloni ampi, a loro volta, riflettono una certa rilassatezza ma anche una precisione nella piega che denota cura e attenzione. Le sneakers, sempre immacolate, sono un simbolo di status, di pulizia in un contesto che spesso veniva dipinto come sporco e disordinato.
Ma è nel linguaggio grafico che il cholo style rivela la sua vera profondità artistica.
Qui, il corpo stesso diventa una tela, e il territorio un gigantesco libro di appunti.
I tatuaggi sono, senza dubbio, la forma d’arte più intrinseca al cholo style. Non sono semplici decorazioni; sono narrazioni incise sulla pelle, biografie visuali. La tipografia Old English (o Blackletter) è onnipresente, con le sue lettere gotiche che evocano un senso di storia, gravitas e ribellione. Nomi di familiari, date significative, simboli di fede (come croci o l’immagine della Vergine di Guadalupe), frasi che esprimono lealtà, orgoglio o sfida (Sureño, Mi Vida Loca, Born To Die) sono comuni. Ogni linea, ogni sfumatura di nero e grigio (spesso realizzati con un’estetica fine line o single needle) è un atto di auto-definizione. Un aneddoto ben noto tra gli appassionati e gli stessi artisti chicano è quello dei “tatuaggi carcerari”, che sebbene non siano esclusivi del cholo style, hanno avuto un’influenza significativa. Spesso realizzati con mezzi rudimentali (come motori di walkman, penne e inchiostro di china), questi tatuaggi non erano solo un modo per passare il tempo, ma un mezzo per mantenere un’identità e comunicare appartenenza e status all’interno delle gerarchie carcerarie. Questa estetica low-tech ha poi influenzato anche i tatuaggi eseguiti fuori dalle mura.
Oltre alla pelle, i murales e i graffiti sono un’altra espressione grafica fondamentale. I muri dei quartieri chicano sono da decenni tele a cielo aperto per raccontare storie di oppressione, resistenza, celebrazione culturale e memoria. I placas – i tag delle gang o degli individui – sono calligrafie uniche, spesso intricate e stilizzate, che rivendicano il territorio e comunicano un senso di presenza. I murales, invece, sono opere d’arte collettive che spesso raffigurano figure iconiche della storia messicana e chicana (come Emiliano Zapata, Frida Kahlo, César Chávez), scene di vita quotidiana, o allegorie di giustizia sociale. L’estetica grafica di questi murales è ricca di simbolismo, spesso con colori vivaci che contrastano con la monocromia dei tatuaggi, ma condividendo la stessa urgenza narrativa. Un esempio lampante è il famoso Great Wall of Los Angeles, un murale di oltre mezzo miglio di lunghezza che racconta la storia delle minoranze in California, con un’impronta estetica che risuona con molti elementi del cholo style, seppur su una scala monumentale.
Infine, l’estetica automobilistica delle lowriders è un’ulteriore estensione del cholo style nel campo dell’arte grafica e funzionale. Le automobili non sono solo mezzi di trasporto, ma opere d’arte in movimento, personalizzate con verniciature elaborate, spesso in metallizzato o con pinstriping complesso. I murales dipinti sui cofani o sui portelloni delle auto riprendono spesso gli stessi temi dei tatuaggi o dei murales stradali, trasformando il veicolo in un santuario mobile di identità e orgoglio. Le sospensioni idrauliche, che permettono alle auto di “danzare”, sono una forma di espressione performativa che unisce l’estetica visiva al movimento.




Particolarità e assonanze nella storia dell’arte underground
Il cholo style, pur essendo peculiare nella sua origine e sviluppo, presenta sorprendenti assonanze con altri fenomeni associabili all’estetica underground, dimostrando come le sottoculture spesso attingano da un bacino comune di espressioni di resistenza e identità.
Una delle assonanze più evidenti è con la cultura del tatuaggio. La venerazione per il tatuaggio come forma d’arte permanente e come veicolo di narrazione personale è un filo rosso che lega il cholo style alle tradizioni maori, giapponesi (irezumi), e persino alle sottoculture punk o biker. L’uso di simboli e testi sulla pelle è un linguaggio universale.
Un’altra connessione forte è con la cultura hip-hop, in particolare quella della West Coast. Molti elementi del cholo style – l’abbigliamento ampio, l’uso di catene d’oro, la predilezione per specifiche marche di scarpe – sono stati assorbiti e reinterpretati dalla scena hip-hop, creando un’interazione fluida tra le due estetiche. Artisti come Cypress Hill o N.W.A. hanno spesso incorporato immagini e simboli del cholo style nei loro video e nella loro immagine pubblica, contribuendo a diffonderne la visibilità.
Inoltre, l’estetica del cholo style, con la sua enfasi sulla precisione, la pulizia e l’ordine in un contesto spesso percepito come caotico, può essere paragonata ad altre sottoculture che adottano un codice visivo rigido per affermare un senso di controllo e dignità. Pensiamo ad esempio al rigoroso dress code dei Mods inglesi negli anni ’60, che sebbene in un contesto socio-culturale completamente diverso, condividevano la stessa maniacale attenzione ai dettagli e la volontà di distinguersi attraverso lo stile.
Infine, la relazione con la graffiti art e l’arte di strada è innegabile. I placas e i murales chicani sono precursori e parallelismi di molte forme di espressione urbana che oggi sono riconosciute come arte. La stessa urgenza di lasciare un segno, di marcare il territorio e di esprimere una voce dal basso, è una caratteristica condivisa.
Dal margine al mainstream (e Ritorno)
La storia del cholo style è una traiettoria affascinante di evoluzione e adattamento. Dalle sue origini come espressione esclusiva delle comunità chicano, spesso marginalizzate e stigmatizzate, ha lentamente permeato strati più ampi della cultura popolare.
Negli anni ’80 e ’90, l’influenza del cholo style è diventata più evidente grazie alla musica. Il genere gangsta rap della West Coast ha abbracciato e spesso romanticizzato l’estetica cholo, portandola all’attenzione di un pubblico globale. I video musicali mostravano rapper con flanelle, bandane e lowriders, trasformando un simbolo di resistenza locale in un’icona di coolness e ribellione per milioni di giovani.
Con l’avvento di internet e dei social media, il cholo style ha vissuto una nuova fase di esposizione e riappropriazione. Influencer e celebrità, a volte con una comprensione superficiale delle sue radici, hanno adottato elementi del look. Questo ha generato un dibattito acceso sulla cultural appropriation e sulla mercificazione di un’estetica nata dalla sofferenza e dalla lotta.
Tuttavia, è importante notare che, parallelamente a questa mercificazione, il cholo style ha mantenuto la sua autenticità e vitalità nelle comunità da cui è nato. Artisti chicano contemporanei continuano a esplorare e reinterpretare questi codici visivi, spesso con un maggiore intento politico e sociale. La pittura, la scultura, la fotografia e persino il design di moda sono stati influenzati, dimostrando la flessibilità e la capacità del cholo style di evolvere mantenendo la sua essenza. Oggi, ci sono mostre d’arte dedicate all’estetica chicana, libri e documentari che approfondiscono la sua storia e il suo significato, portando il “margine” al centro dell’attenzione critica.
Protagonisti (e) visionari
Il cholo style non è una regione isolata nell’oceano dell’estetica underground, ma un fiume che confluisce e alimenta una corrente più ampia. La sua relazione con la storia dell’arte underground è profonda, incarnando molti dei principi che definiscono questo campo: l’auto-determinazione, la sfida alle narrazioni dominanti, l’uso di mezzi non convenzionali e la creazione di un’arte che nasce dalla vita e dalla strada.
I protagonisti principali di questa sottocultura non sono sempre artisti nel senso accademico del termine, ma spesso individui che, attraverso la loro vita e il loro stile, hanno contribuito a plasmare l’estetica. I tagger, i tatuatori che operavano e operano nelle comunità, i costruttori di lowriders, i writers di murales – questi sono i veri architetti del cholo style. La loro arte è spesso anonima o collettiva, ma il suo impatto è innegabile.
Pensiamo a figure come Mister Cartoon, un tatuatore di Los Angeles di fama mondiale che ha portato l’estetica fineline e chicano style a un pubblico più vasto, lavorando con celebrità e marchi globali, ma mantenendo un profondo rispetto per le sue radici. Le sue intricate grafiche, che mescolano iconografia chicana con elementi di cartoon e di fantasia, sono un esempio di come l’estetica underground possa trascendere i suoi confini originali senza perdere la sua anima.
Oppure, nel campo dei murales, l’influenza di artisti come Judith Baca, curatrice e ideatrice del già citato Great Wall of Los Angeles, mostra come l’arte pubblica possa essere uno strumento potente per rivendicare la storia e l’identità di una comunità. Sebbene non direttamente etichettabile come artista “cholo”, il suo lavoro è intrinsecamente legato alla narrazione visiva delle comunità chicano e condivide con il cholo style la funzione di espressione politica e culturale.
Il cholo style, con la sua enfasi sull’artigianato, sulla personalizzazione e sulla narrazione visiva, si inserisce perfettamente nella tradizione dell’arte self-taught o outsider art. È un’arte che non cerca l’approvazione delle gallerie o delle istituzioni, ma nasce dalla necessità di esprimere e di comunicare all’interno della propria comunità. È un’arte che si manifesta sulla pelle, sui muri, sui veicoli – ovvero sui mezzi disponibili e accessibili a coloro che la creano. Questo la rende intrinsecamente underground: non è prodotta per il mercato, ma per la vita.
In conclusione, il cholo style è un fenomeno estetico di straordinaria ricchezza e complessità. È un linguaggio visivo che trascende la semplice apparenza, diventando un profondo racconto di identità, resistenza e appartenenza. Dalla precisione dei tatuaggi fineline alla monumentalità dei murales, dai segni calligrafici dei placas all’esuberanza delle lowriders, ogni elemento grafico del cholo style è un tassello di un mosaico che narra la storia di una comunità, la sua lotta e la sua inarrestabile creatività. Non è solo un capitolo nella storia dell’estetica underground; è un intero volume, scritto con l’inchiostro della resilienza e disegnato con la penna della ribellione. E, come ogni grande opera d’arte, continua a evolversi, a ispirare e a sfidare le nostre percezioni di ciò che significa essere visti, essere ascoltati e, soprattutto, essere.

