Sulla scia dell’onda lunga del Sessantotto, in Italia esplose il movimento del Settantasette, assumendo caratteristiche nuove rispetto ai precedenti fenomeni di contestazione giovanile. Tra indiani metropolitani, trasversalisti, maodadaisti, parodisti e cani sciolti, si manifestava infatti una componente creativa che, recuperando la lezione delle avanguardie artistiche, metteva in discussione il gergo politico e l’uso consuetudinario della lingua e della comunicazione.
Come notò Umberto Eco, la pratica della manipolazione eversiva dei linguaggi e dei comportamenti era uscita dal laboratorio specialistico e dal recinto dell’arte per diventare patrimonio di una generazione di mutanti, cresciuti nella velocità massmediatica, che si esprimevano con un linguaggio dissociato, privo di nessi logici, ironico, immaginista.
In questa tensione espressiva, subito ridotta al silenzio negli anni di piombo, si rispecchiavano in modo sia pure confuso e caotico i segni della transizione alla società post-industriale e l’enorme sviluppo delle tecnologie della comunicazione.
Gli umori del tempo affiorano dalle riviste del movimento, accomunate dalle stesse graffianti pratiche di scrittura e da nuovi metodi compositivi con cut-up di giornali e impaginazione libera dalle gabbie tipografiche.
Attraverso un raffronto diretto di testi, da questo studio emerge l’esistenza di una continuità tra i codici delle avanguardie artistiche e le modalità espressive dei soggetti desideranti del movimento del Settantasette.
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