Conosciamo tutti l’idea di base di questi poster: il neon, i caratteri frizzanti, lo stile crossover fra pop e op art, la visualizzazione del sesso come puro piacere, le droghe e l’immancabile rock n roll.
Eppure dietro la bellezza immediata di questi manifesti c’è la dimostrazione palese di un senso collaborativo, collettivo e democratico molto più ampio che fa di un’epoca come gli anni Sessanta un riferimento non solo stilistico.
Quello che Joan Didion descrive nel suo bellissimo reportage dagli anni Sessanta come alchimia delle passioni è il processo di come una persona, un momento o un’azione possano diventare una causa, un movimento, un modo di vivere. Per quanto tutto questo possa essere vissuto e raccontato in modo confuso o distorto dalla droga o dal simbolismo, questo è un tratto comunque molto poso esplorato della controcultura che, a mio avviso, meriterebbe di essere approfondito.
L’idealismo di fondo del movimento hippie si diffuse nell’aria e portò a un movimento artistico che comprendeva tutto, dalla legalizzazione della marijuana al pacifismo e alla non violenza.
L’utilizzo dei colori e la tecnica necessari per la creazione di queste stampe sono lungi dall’essere il prodotto di menti sfuocate dalle droghe. Molti di questi artisti provengono infatti da solidi percorsi artistici e padroneggiano una vastissima gamma di stili ed influenze che mixano con sapienza e sperimentalismo costruendo così un design avvincente e vivido.
Sebbene la sconosciuta artista americana Dana W. Johnson abbia creato solo due poster, entrambi per il produttore Bill Graham, in entrambi questi lavori si notano elementi molto innovativi e originali nel panorama della grafica psichedelica.
Il suo iconico mix di immagini egiziane e medievali, insieme ad una chiara influenza del surrealismo testimoniato dallo stravolgimento degli elementi naturali, rimanda a qualcosa di nuovo, a qualcosa in cui sicuramente ha avuto un ruolo anche lo stile unico e allucinato del grande pittore olandese Hieronymus Bosch.
Un turbinio surreale di foreste, alberi e fiori con la testa di un uomo che funge da sole. I colori sono bianco, blu, nero e giallo, ben lontana dall’uso a volte estremo dei ben più conosciuti Big Five da cui le due opere di Dana si distanziano notevolmente.

Dana Johnson, 1968

Dana Johnson, 1968

L’eredità storica dei lavori di Dana Johnson risulta più importante alla luce del principio di scarsità. Almeno io non sono stato in grado di scovare altre opere e neppure altre informazioni su un’artista che risulta perciò un mistero.
Questi manifesti però rivestono un importante esempio della versatillità e disomogeneità della grafica psichedelica che, contrariamente a quanto si può percepire ad uno sguardo distratto, riescono a mostrare un’infinità di stili e direzioni assai diverse fra loro.
Se possiamo tratteggiare una linea generale che però unisce i puntini sparsi della storia della grafica psichedelica risulta chiaro, a mio avviso, che le idee politiche e sociali, che sono rappresentate direttamente e indirettamente in molti di questi manifesti, sono un messaggio quanto mai necessario per una nuova generazione di poster artist perché, anche se può apparire scontato, realizzare un poster è bello, ma trasmettere un messaggio è molto più potente.